Tutto come previsto. E, in più, con qualche sorpresa. È stato pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale il decreto con il quale il governo ha rinviato l’aumento di un punto percentuale, dal 21 al 22%, dell’Iva. Dovendo trovare la toppa necessaria per coprire il futuro minor gettito, l’esecutivo ha raschiato il fondo del barile e ha spostato voci di bilancio come nelle migliori tradizioni. Così, come annunciato, le sigarette elettroniche, che in Italia vendono già per 50 milioni di euro, verranno tassate come le bionde tradizionali, al 58,5% del prezzo di vendita al pubblico. I tabaccai esultano, perché è stato loro permesso di aggiungerle tra i loro scaffali e perché è stato messo un argine importante ai pericolosi concorrenti. Mentre i rappresentanti dell’Associazione nazionale fumoelettronico scendono sul piede di guerra e annunciano una manifestazione per martedì 9 luglio a partire dalle ore 9 in piazza Montecitorio. «Assistiamo sgomenti al deliberato tentativo da parte del governo di distruggere il mondo dei produttori, distributori e commercianti del settore della sigaretta elettronica, sviluppatosi in Italia negli ultimi 24 mesi», scrive l’associazione. E rincara la dose: «Un mondo fatto di 3.000 imprese e 5.000 persone che hanno investito cifre importanti, spesso frutto di liquidazioni da lavoro perso, e in gran parte ancora da recuperare. Persone che hanno affittato negozi vuoti mentre tutti li chiudono, assunto giovani in un momentoin cui tutti licenziano, che pagano abbondanti tasse e dazi doganali. Tutti soldi che sino a ieri lo Stato non incassava». L’obiettivo della manifestazione è naturalmente quello di far modificare il decreto, mentre i tabaccai annunciano di voler vigilare «affinchè il provvedimento nonsubisca stravolgimenti,puntando anzi a contorni ancor più definiti». Tra le novità sbucate dalla pubblicazione in Gazzetta del decreto ce n’è una piuttosto curiosa. Il governo ha sfruttato l’occasio – ne del rinvio dell’aumento Iva e il conseguente gioco delle tre carte per la copertura, per autorizzare uncontributo in favore del Chernobyl Shelter Fund (CSF), istituito presso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, per un importo complessivo di 25.100.000 euro. Il contributo verrà versato in cinque rate di cui la prima, per duemilioni di euro, già quest’anno. Il CSF ha l’obietti – vo di raccogliere fondi per mettere in sicurezza (ci vorranno 100 anni, dicono) il territorio colpito dall’incidente nucleare avvenuto in Ucraina nell’86, quando ancora c’era l’Unione Sovietica. Per farlo, il CSF utilizza (e paga) prevalentemente tecnici e società dell’Ucraina e della Russia. Ma mentre tra i “contributors” del Chernobyl Shelter Fund c’è l’Ucraina (oltre all’Europa, gli Stati Uniti e Giappone), non si trova la Russia. Probabilmente usa altre vie per finanziare il risanamento del territorio; comunque la sua assenza suona male. Nel decreto rinvio-aumento dell’Iva viene anche abrogato il comma 1-quater dell’articolo 40 del decreto del 6 luglio 2011 n. 98, quello che aveva previsto lo scatto di un punto dell’imposta sul valore aggiunto. Il comma in questione prevedeva la cancellazione dell’aumento nel caso in cui entro il 30 giugno 2013 «siano entrati in vigore provvedimenti legislativi in materia sociale, nonché la eliminazione o riduzione dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale che si sovrappongono alle prestazioni, assistenziali, tali da tederminare effetti positivi, ai fini dell’indebita – mento netto, non inferiori a 6.560 milioni di euro annui a decorrere dal 2013». Ora, i provvedimenti in queste materie sono stati abbondantemente presi e per importi ben superiori a quanto richiesto. Solo che non sono stati utilizzati per tagliare il debito, che anzi è aumentato. Un tratto di penna e tutti i sacrifici fatti vengono dimenticati.