Che prima o poi dovesse fare capolino, l’aveva messo nel conto. Ma di verdersi comparire davanti agli occhi il fantasma del “chi me l’ha fatto fare”a governo nemmeno ancora insediato, Silvio Berlusconi non se lo aspettava proprio. Eppure, la giornata di ieri ha consegnato al Cavaliere molti più dubbi che certezze. Il balletto ribassista sull’aboli – zione dell’Imu avviato in mattinata dal ministro Dario Franceschini e proseguito per tutto il giorno tra puntualizzazioni e precisazioni tutt’altro che risolutive, lo psicodramma innescatosi a sinistra davanti alla prospettivadi ritrovarsi l’ex premier presidente della Convenzione per le riforme, le avvisaglie di smottamento di un Pd che sbanda vistosamente sotto i colpi della piazza. Tutti brutti segnali. Mitigati, al solito, dai sondaggi: i dati in mano al Cavaliere dicono che centrodestra e Scelta civica vedono il 40%, e la consapevolezza che, dovesse venire giù tutto, nella corsa alle urne si partirebbe tutt’altro che mal messi fanno parecchio morale. Morale che aiuta a mantenere nervi saldi di fronte ai brutti segnali di cui sopra. Nonostante l’alzatadi voce mattutina («Non sosterremo nemmeno con l’ap – poggio esterno un governo che non dovesse attuare questemisure » circa Imu e fisco), il Cavaliere non considera un’opzione l’affondamento del governo, operazione per cui i tempi non sono maturi. Marcatura strettissima dell’esecutivo (il vicepremier Alfano spiegherà con modi ultimativi e verbi rigorosamente all’indicativo che «sull’Imu non c’è nulla da chiarire: a giugno non si pagherà» e a dicembre la rata non aumenterà «affatto») ma per ora nientedi più. Un po’ di fiato sul collo del governo, ragiona il Cavaliere, aiuterà inoltre l’esecutivo ad essere motivato quando ci sarà da «andare in Europa a trattare, perché con la crisi recessiva che c’è e che è derivata anche dalle misure che ci ha imposto l’Europa, bisogna ridiscutere gli impegni assunti». Anche perché il Cavaliere non ha intenzione di mollare il colpo sul capitolo riforme. La sua autocandidatura alla guida della Bicamerale-bis è sempre in campo, dato che – come sottolineato dallo stesso Berlusconi ieri mattina in Senato – «Sono sempre il più bravo in tutto». Qualora gli sbandamenti del Pd dovessero rendere impraticabile l’opzione, così sancendo l’impossibilità dei Democratici di sopportare il riconoscimento politico a Berlusconi sulla cui piena concessione l’intera operazione Napolitano-Letta si basa, allora si potrebbe iniziare a prendere in considerazione conclusioni diverse. In attesa di sviluppi, ci si concentra sull’immediato. Dove c’è da fare i conti con lo scalpitare dei falchi, i cui mugugni vanno salendo di intensità e che servirà placare mediante accorta gestione della partita di sottosegretari e commissioni. I posti spettanti al partito non dovrebbero essere più di 15, e alla loro migliore ripartizione stanno lavorando in squadra Denis Verdini, Renato Brunetta e Renato Schifani. Altro discorso quello delle commissioni, le cui presidenze dovrebbero andare ai ministri uscenti dell’ultimo governo berlusconiano. Per il posto di vicepresidente della Camera lasciato vacante dal neoministro Maurizio Lupi, salgono le quotazioni di Daniela Santanché. Infine, i sondaggi. Che si confermano croce e delizia per il Cavaliere. Delizia perché le rilevazioni consegnate dalla fidata Alessandra Ghisleri hanno riportato l’umore del Cavaliere alla trionfale cavalcata elettorale del 2008, croce perché con numeri così essere responsabili ed allontanare da sé ogni tentazione di ritorno alle urne diventa impresa titanica. Per rendersene conto, basta vedere i numeri scodellati ieri dal Cavaliere davanti ai parlamentari. La coalizione di centrodestra formata da Pdl, Lega e Fratelli d’Italia oscilla intorno al 37% (con un Popolo della libertà in grande spolvero che sfiora il 30% en solitaire). Se a questo monte si somma poi l’apporto di Scelta civica – la cui confluenza nel centrodestra è ormai data per scontata – il dato complessivo arriva a sfondare il 40%.