Con Dead Space, Visceral Games ha trionfato, noi videogiocatori old school abbiamo esultato, e il mercato del videogioco ha incassato una sonora lezione: si possono fare soldi anche senza vendersi ai trend del momento. O, almeno, senza vendersi del tutto. Perché il giusto equilibrio tra il carattere di un’opera artistica e gli espedienti atti a soddisfare l’utenza media, distribuendo “contentini” con accorta misura, è la soluzione vincente per ottenere una ricetta degna di essere ricordata nel marasma dell’esperienze odierne. Sempre. Avanzando in quell’indimenticabile girandola infernale chiamata USG Ishimura, Isaac Clarke ha creato un simbiotico rapporto con i videogiocatori, grazie a un accurato motore di sensazioni forti che con i suoi pistoni muoveva i più fondati timori freudiani dell’animo umano. Una miscela semplice ma che funziona alla grande: bui anfratti e corridoi arredati da sinistre insegne al neon, una colonna sonora viscerale e “a corda di violino”, qualche momento al cardiopalma per il buon vecchio salto dalla sedia e tanta, tanta solitudine. Già, perché sentirsi soli e minacciati è stata la chiave di volta fin dai tempi dell’inossidabile Alone in the Dark di Infogrames (classe 1992). Ma oggi i tempi sono cambiati, e basta giocare per dieci minuti a Resident Evil 6 per rendersene immediatamente conto: il Survival Horror è morto, lunga vita al Dramatic Horror. Ma siamo sicuri? Siamo sicuri che quanto iniziato oltre venti anni fa si stia evolvendo in qualcosa di “migliore”? Di maggior impatto? Capace di offrire un miglior coinvolgimento? Chi vi scrive, nutre più di qualche dubbio; e l’aggiunta di una modalità cooperativa in una delle mie saghe preferite di questa generazione è stato un po’ come un incubo ad occhi aperti. Altro che Sprawl, altro che Ishimura: meccaniche di gioco votate all’action “copertura-sparacopertura” di matrice Epic, nemici armati e umani, ambienti aperti e illuminati deprivati di quel backtracking un tempo fuso alla struttura stessa di ciò che si definiva survival horror. Perché aprire ad una ad una le porte della ottocentesca magione di Resident Evil, o andare su e giù per i piani dell’Ishimura, erano elementi coadiuvanti di un equilibrio necessario all’egemonia di gioco. Per fortuna, chiunque abbia buttato giù giudizi poco lusinghieri prima di aver provato con mano questa terza odissea dell’ingegnere spaziale più sfigato di tutti i tempi, avrà di che ricredersi: Dead Space 3 cerca sì di abbracciare un’utenza maggiore del suo predecessore, ma tenta anche pedissequamente di rimanere fedele ai tratti distintivi che l’hanno reso celebre nel tempo. Tanto per cominciare, giocate offline e vi ritroverete completamente soli. Sì, il burbero John Carver è sempre presente nelle cutscene e nello script, non sarà cancellato da un vigoroso colpo di cancelletto. Ma non vi seguirà neanche per tutta la mappa di gioco facendo “tana” vicino alla porta in puro stile Resident Evil (dal quinto capitolo in avanti… purtroppo). E diciamocelo, una simile soluzione cambia totalmente le carte in tavola, permettendoci in una seconda battuta di rivivere ogni sessione di gioco in compagnia di un amico, senza però inficiare in alcun modo la nostra prima, “silenziosa”, viscerale e solitaria playthrough. La modalità a due giocatori attiverà poi alcune piccole differenze non solo nel gameplay ma anche a livello narrativo, introducendo dei filmati riservati al solo co-op, fino ad arrivare a mutare l’approccio stesso alle boss battle più significative. Insomma, è come se andando online c’inoltrassimo all’interno di un vero e proprio Dead Space 3 alternativo, il che innalzerebbe comunque il valore di rigiocabilità del titolo Visceral Game, sia che siate degli amanti multiplayer che degli irriducibili detrattori. Ancor più importante, la ricerca delle origini del Marchio di Isaac farà in modo che l’agguerrita Ellie ci condurrà sì sul pianeta innevato (Tau Volatis) mostratoci per la prima volta nel corso dello scorso E3, ma senza disdegnare le claustrofobiche sezioni su navi spaziali che resero il capostipite un must del genere. A sorpresa, infatti, il producer Shreif Fattouh ci ha rivelato che passeremo solo metà delle ore di gioco previste sul pianeta innevato dove tenteremo un atterraggio di emergenza, e passeremo il resto del tempo tra i bui corridoi arrugginiti di Eudora, un’astronave le cui atmosfere richiameranno spudoratamente quelle dell’Ishimura e il suo irripetibile e malsano incubo interattivo. I necromorfi ci attenderanno in agguato, nell’oscurità, ansimando e strisciando nei tunnel dell’aerazione, ancora più veloci e letali di quanto ricordassimo: il loro numero è altamente ridimensionato rispetto alle granguignolesche ammucchiate del secondo capitolo, ma anche uno solo di loro potrebbe bastare per mettere fine alla nostra flebile vita, in una manciata di secondi. Prevedere i loro movimenti sarà infatti ben più complicato, e mentre un arco di violino irromperà nel silenzio radio che attanaglia il nostro claudicante avanzare tra le mura metalliche del vascello per avvertirci della presenza di un abominio strisciante giusto infondo al corridoio illuminato dalle scariche elettriche di un paio di cavi dell’alta tensione scoperti, questo potrebbe alzare in piedi e saltare verso di noi nel bel mezzo di uno scatto atletico degno delle scorse olimpiadi, lasciandoci sentire il suo fetido alito a giusto un paio di centimetri dal nostro collo. E come chiunque abbia giocato almeno una volta a uno dei due predecessori ricorderà bene, accorciare la distanza di sicurezza da un necromorfo trasformerà lo scontro nella più spietata delle roulette russe; una solo colpo a segno ci farà schizzare via la testa lasciando zampillare il nostro sangue ancora caldo come la fontana di Trevi. Anche quando tentano di raggirarci utilizzando l’articolato sistema di tunnel che si espande per l’Eudora come una ragnatela, ora i Necromorfi riescono a sorprenderci (con un tuffo al cuore) ben più che in passato: i bastardi agglomerati di carni in putrefazione, infatti, non annunceranno la loro uscita plateale da una grata con i gran frastuoni del passato. No, questi esseri infernali strisceranno fuori dai condotti in silenzio, assalendoci alle spalle con un attacco che non sarebbe poi errato definire quasi “stealth”. Certo, sequenze in pure stile “orda” di Gears of War non mancheranno neanche in questo terzo episodio, ma al momento appaiono ben più bilanciate che in Dead Space 2 e sempre impreziosite da qualche piccola enigma ambientale che le differenzia tra di loro. A proposito di questi, sia sul pianeta ghiacciato che sull’Eudora troveremo usi alternativi delle consolidate capacità del nostro ingegnere spaziale, che non guastano mai. Nulla di eclatante da segnalare per ora, ma di sicuro non rappresentarono l’elemento chiave che rese l’agghiacciante miscela del primo capitolo così riuscita, anzi. Il taglio hollywoodiano del secondo capitolo, tanto criticato dai più (a volte anche oltre misura), ritorna con spettacolari sequenze a gravità zero e la capacità di spostamento nell’etere di Isaac, qui addirittura potenziata. Ma non lasciatevi ingannare, perché il senso di “pesantezza” che ci rende così inermi e indifesi rispetto agli attacchi fulminei dei nostri disgustosi nemici appare già adesso ben più rincarato che in passato, così come l’utilizzo delle armi stesse che si riveleranno in più di un occasione non all’altezza dei nostri avversari, costringendoci alla fuga. A proposito di quest’ultime, la possibilità di creare armi utilizzando i materiali raccolti in giro dona un senso maggiore all’inquadratura professionale del nostro eroe, giustificando la presenza di una sola qualità di munizioni. Le combinazioni possibili sono infatti centinaia, e immaginare per ognuna di esse dei caricatori specifici si sarebbe rivelato alquanto deleterio per le basi del gameplay stesso. E sebbene qualche dubbio permanga sul bilanciamento tra la componente action e la sublime capacità di questa saga di riuscire a
spaventare il suo pubblico come raramente si veda oggigiorno, quanto mostratoci in privato da EA ci ha rassicurato e non poco. Che galleggiate nello spazio siderale, o che avanziate lentamente su una struttura innevata che sembra uscita di peso da La Cosa, nessuno potrà sentirvi urlare. Neanche questa volta…