Il 2011 è l’annus horribilis dei giapponesi, in particolare per la Toyota, primo costruttore automobilistico al mondo: ieri lo tsunami e il terremoto, che hanno bloccato la produzione in «casa»; oggi l’inondazione in Thailandia, che ha costretto a fermare altri tre impianti. Risultato: una carenza di componenti che ha bloccato nove Paesi. Se a tutto ciò si aggiunge il fattore-yen, la cui forza penalizza le esportazioni, si capisce perché Akio Toyoda, numero uno del costruttore, abbia onestamente dichiarato di «rinunciare a qualsiasi previsione finanziaria per l’intero anno». Nei primi nove mesi del 2011 la Toyota ha venduto 5,77 milioni di veicoli nel mondo: molto meno sia della General Motors (6,79 milioni) sia del gruppo Volkswagen (6,11 milioni). Ormai è chiaro che a contendersi il primato della classifica saranno Gm e Volkswagen. I tedeschi avevano previsto di arrivare sul gradino più alto del podio nel 2018, ma il successo dei loro prodotti, specialmente in Cina, e le difficoltà dei giapponesi, potrebbero anticipare il raggiungimento dell’obiettivo. Certo, il risultato è legato anche alla salute dell’economia tedesca, ma il Gruppo è ben messo: l’insieme dei marchi Vw, Audi, Seat e Skoda controlla circa il 40 per cento del mercato locale, e la media europea sfiora il 23 per cento. Questo ribaltone della gerarchia internazionale si era già osservato nei primi due trimestri 2011, ora se ne ha la conferma. Gli americani della Gm, da parte loro, non demordono: dopo il ritorno in borsa, nel 2010, hanno recuperato la credibilità erosa dal salvataggio governativo del 2009. Il gigante di Detroit ha venduto in Usa, a fine ottobre, 2,09 milioni di auto; in Cina, in dieci mesi, 2,11 milioni di vetture, e conta di arrivare entro il 2015 a 5 milioni. Adesso vuole inserirsi anche nel segmento delle piccole vetture con la nuova Chevrolet Sonic (da noi si chiama Aveo), costruita a Orion Township (Michigan), ma prima assemblata in Corea con il marchio Daewoo. Il caso Sonic esemplifica la strategia Gm: ritorno della produzione in America, a scapito di Messico, Europa e Asia. E di recente il Congresso Usa ha firmato con la Corea un accordo di libero scambio che elimina i costi doganali delle auto americane esportate su quel mercato, spianando la strada ai modelli made in Usa, molto amati in Asia.