Una nuova speranza per le persone paralizzate o che, comunque, abbiano subito la perdita di un arto. Il braccio robotico rappresenta la nuova frontiera dell’ingegneria biomedica. Movimenti fluidi e in tempo reale proprio come avviene con un braccio normale. Lo si può attuare impiantando direttamente nel cervello alcuni sensori capaci di captare le intenzioni di movimento, trasferendole all’arto meccanico.
E’ stato il gruppo congiunto di ricercatori del California Institute of Technology, Caltech e Rancho Los Amigos National Rehabilitation Center a mettere a punto questo innovativo dispositivo. Grazie ad esso un uomo paralizzato dall’età di 21 anni in seguito ad una sparatoria è riuscito a muovere un braccio bionico grazie al solo pensiero. A darne notizia è la prestigiosa rivista Science. Gli arti bionici sono sempre più realtà e trasmettono maggiore sollievo nella vita di tutti i giorni.
Negli ultimi dieci anni la ricerca nel campo delle protesi ha fatto passi da gigante da questo punto di vista. Ad oggi sono decine gli apparati sviluppati per mimare la funzione di gambe e braccia. Per muoversi sfruttano un segnale elettrico proveniente dal cervello. Se nelle persone amputate ciò è già realtà, chi è paralizzato e costretto su una sedia a rotelle un giorno potrà forse utilizzare arti meccanici comandati con la forza del pensiero. In realtà ad oggi qualche esperimento c’è già stato, ma i movimenti, pur essendo presenti, non avvengono in tempo reale e spesso sono a scatti.
Un problema che in futuro, grazie all’intuizione degli scienziati statunitensi, potrà essere superato. Cambia l’approccio, ma non la sostanza. Se fino ad oggi, per muovere l’arto si procedeva con un impianto di elettrodi capaci di captare la volontà direttamente nell’area che comanda i movimenti, ora gli scienziati hanno pensato di spostare l’obbiettivo in un’altra zona, quella responsabile delle intenzioni di movimento. Un cambio che si è rivelato vincente. Questo il commento di Richard Andersen, uno degli autori dello studio: “Quando si sposta un braccio non si pensa a quali muscoli si devono attivare. Al contrario si pensa all’obiettivo del movimento”.
Una storia si pone in maniera emblematica: il 17 aprile del 2013 Erik Soto, paralizzato da oltre 10 anni, si è sottoposto all’intervento di posizionamento degli elettrodi. In particolare gli scienziati hanno impiantato due minuscoli “array” contenenti 96 microelettrodi, ciascuno nella corteccia parietale posteriore. I dispositivi sono stati poi collegati ad un computer che comanda il braccio meccanico. Due settimane dopo è iniziata la riabilitazione e già al primo giorno di test Erik ha incominciato a muovere il braccio robotico autonomamente. Oggi, a distanza di due anni, la notizia del successo definitivo di questa tecnologia. Un approccio che consentirà a chi è paralizzato di poter comunque interagire attivamente con la realtà. Nuova speranza, nuova vita.