La settimana Santa di Pasqua. Momento di resurrezione e riflessione allo stesso tempo. Le parole odierne di Papa Francesco rimbalzano a San Pietro e oltre. Sbuffi di incenso salgono nell’aria.
Bergoglio celebra la messa del sacro crisma, rito che ricorda l’istituzione del sacerdozio. Al centro del suo discorso il tema della stanchezza, sia essa fisica, spirituale o morale. La basilica è gremita di vescovi, cardinali, religiosi, monaci, parroci. E’ a loro che si rivolge attraverso questo messaggio liturgico: “La stanchezza dei sacerdoti è un rischio, una specie di malattia professionale, se non si aderisce al disegno di Dio. Solo l’amore dà riposo. Ciò che non si ama stanca e alla lunga stanca male. Sapete quante volte penso alla stanchezza di tutti voi? Ci penso molto e prego di frequente, specialmente quando ad essere stanco sono io. Prego per voi che lavorate in mezzo al popolo fedele di Dio che vi è stato affidato. Molti in luoghi assai abbandonati e pericolosi. E la nostra stanchezza, cari sacerdoti, è come l’incenso che sale silenziosamente al Cielo. La nostra stanchezza va dritta al cuore del Padre. A tutti noi può venire la tentazione di riposare in qualunque modo, come se il riposo non fosse una cosa di Dio. Non cadiamo in questa tentazione.
La nostra fatica è preziosa agli occhi di Gesù, che ci accoglie e ci fa alzare. Venite a me quando siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro. Bisogna riposarsi nella fatica, magari chiedendo aiuto a qualche sacerdote saggio, senza cadere in uno sterile auto-compiacimento. Sappiamo riposare dai nostri nemici sotto la protezione del Signore? Vado argomentando e tramando fra me e me, rimuginando più volte la mia difesa o mi affido allo Spirito che mi insegna quello che devo dire in ogni occasione? Mi preoccupo e mi affanno eccessivamente o, come Paolo, trovo riposo dicendo: “So in chi ho posto la mia fede”. Il maligno è più astuto di noi ed è capace di demolire in un momento quello che abbiamo costruito con pazienza durante lungo tempo. Qui occorre chiedere la grazia di imparare a neutralizzare: neutralizzare il male, non strappare la zizzania, non pretendere di difendere come superuomini ciò che solo il Signore deve difendere. La stanchezza di sé stessi è, forse, la più pericolosa. Riguarda la delusione di sé stessi, ma non guardata in faccia, con la serena letizia di chi si scopre peccatore e bisognoso di perdono: questi chiede aiuto e va avanti. Questa stanchezza è un civettare con la mondanità spirituale. Ma quando uno rimane solo, si accorge di quanti settori della vita sono stati impregnati da questa mondanità, e si ha persino l’impressione che nessun bagno la possa pulire. Questa è la stanchezza più cattiva”.