La Camera dei Deputati ha approvato il Jobs Act: il testo passa nell’aula di Montecitorio, con 316 sì, 6 no e 5 astenuti, ma viene votato solo dalle “Larghe Intese”. Prima della votazione tutta l’opposizione si è alzata e ha lasciato i seggi vuoti, annunciata inizialmente solo dalla Lega, a cui si sono aggiunti anche M5S, Forza Italia, e SEL.
Renzi ringrazia i suoi “compagni”, come al solito tweetando: “Grazie ai deputati che hanno approvato il jobs act senza voto di fiducia. Adesso avanti sulle riforme. Questa è #lavoltabuona“, ma la minoranza in seno al PD si fa sentire in maniera decisa con Fassina e Civati. Il primo ha commentato le parole del premier come provocatorie, e volte ad alimentare una tensione sovversiva e corporativa, il secondo scegliendo di non abbandonare l’emiciclo e votando “No”.
Prima del voto si sono manifestate delle proteste sulle tribune del pubblico, quando alcuni presenti con addosso magliette rosse della Fiom si sono fatti notare avvicinandosi al parapetto interrompendo il discorso di un deputato PSI, e alcuni deputati grillni hanno esibito cartelli con la scritta “LicenziAct” fatti rimuovere dalla Presidente della Camera, Boldrini.
La minoranza PD ha anche prodotto un documento che recita le i timori della deriva destrorsa presa dal centro-sinistra in cui si legge “Ci preoccupa il cedimento culturale all’idea che la libertà di impresa coincida con vincoli da abolire per consentire finalmente il diritto di licenziare”.
Anche il leader di SEL vede la svolta verso FI del partito che racchiudeva le sinistre, dichiarando che per quanto concerne il lavoro il governo Renzi ha tre parole d’ordine: precarizzare, demansionare, licenziare. In pratica favorire il cosiddetto “lavoro sporco”, proseguendo sulla linea dei precedenti governi berlusconiani.
Andrea Zampini