Certamente i suoi componenti non potranno mai farsene un vanto ma è fuori discussione che l’esecutivo capeggiato da Enrico Letta – fresco della fiducia concessagli ieri dal Senato – sia riuscito in una sorta di miracolo culturale, se non politico. Decidendo (in barba ai ripetuti impegni verbali del premier di contenere la pressione fiscale) l’aumento dell’Iva di un punto percentuale, dal 21 al 22%, il«governo di larghe intese» ha creato infatti i presupposti perché i primi germi di quella che assomiglia molto a una versione italiana del Tea Party americano (il movimento liberal- conservatore che pone al centro della propria azione la lotta contro le tasse statali: non a caso il suo nome contiene l’acronimo della frase Taxed Enough Already, «già abbastanza tassati ») nascessero in un paese toscano che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi, è sempre stato guidato da sindaci aderenti dapprima al Partito comunista e quindi alle sue successive incarnazioni. Il paese in questione è Castelfiorentino, comune di 18.000 abitanti in provincia di Firenze dove una buona parte dei commercianti ha assunto una decisione senza precedenti: non ritoccare i prezzi dei prodotti posti in vendita impegnandosi a pagare l’aumento dell’ali – quota esclusivamente di tasca propria. I negozianti castellani considerano il loro gesto un sacrificio economico indispensabile per non intaccare ulteriormente le finanze già abbastanza provate dei propri concittadini. Come hanno ampiamente riferito gli organi d’informazione locali, all’iniziativa – sponsorizzata anche da Confesercenti – hanno aderito oltre cinquanta esercizi. Si va dalla telefonia alle oreficerie, dall’abbigliamento ai casalinghi, passando per profumerie, bar, cartolerie, botteghe di generi alimentari e via elencando. Da un paio di giorni l’Iva è divenuta il principale se non l’unico argomento di discussione degli abitanti di Castelfiorentino, i quali vedono ora il proprio paese guadagnarsi le attenzioni dei media nazionali. La loro speranza è di riuscire a far arrivare un segnale forte e chiaro ai «palazzi romani», fornendo un esempio che, a breve, potrebbe magari essere seguito da altri per poi dilagare a macchia d’olio nel resto d’Italia. L’idea iniziale è venuta a Gianni Carpitelli, presidente del centro commerciale naturale Tre Piazze nonché proprietario di un negozio di abbigliamento maschile. «Noi ci rendiamo ben conto della difficile situazione che attraversano le famiglie di Castelfiorentino e, in generale, quelle italiane», spiega Carpitelli, «e alla luce di ciò ci è parso opportuno accollarci integralmente, come aziende, il costo dell’aumento dell’Iva. Confidiamo che una simile scelta verrà ripagata dal cliente sotto forma di fidelizzazione e di sostegno alla nostra giusta battaglia ». Nette anche le valutazioni di alcuni protagonisti del mondo imprenditoriale toscano. «Noi vogliamo che chi governa si prenda le proprie responsabilità davanti alla gente, da questa situazione si esce solo facendo le riforme e attuando le cose che tutti i politici promettono di fare ma che poi nessuno di loro fa», ammonisce Giovan Battista Donati, da poco eletto presidente di Rete Imprese Italia in Toscana. Gli fa eco Andrea Cavicchi, che presiede l’Unione Industriale pratese: «Siamo molto arrabbiati con questa politica. L’Iva ci complica la vita ma è solo uno dei problemi. Quello vero è l’incertezza politica. Condividiamo, pertanto, le critiche espresse dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, secondo cui il governo avrebbe dovuto realizzare riforme per la competitività mentre da tre mesi non fa che parlare di Iva e di Imu». L’altruistico (ma in realtà lungimirante) sciopero fiscale dei commercianti di Castelfiorentino sta comunque già producendo proseliti, come dimostra il caso di una cartoleria situata in Viale Spartaco Lavagnini, a Firenze, il cui titolare ha affisso sulla propria vetrina un cartello che testualmente recita: «Da oggi, cari politici, vi pagherò l’Iva al 22%. Io non aumenterò i prezzi… Voi non capite o fate finta di non capire, ma io sì!». Tra chi opera nel mondo del commercio, insomma, serpeggia un forte nervosismo. Eppure l’odore che, sempre più forte, si sente aleggiare in Italia non è quello del caffè bensì, come si è detto, quello del Tea…