Dopo un braccio di ferro di 18 mesi, il patrimonio miliardario della Faac – colosso dei cancelli automatici – sta per finire definitivamente nelle mani della curia bolognese. Un valore di 1,1 miliardi, degli 1,7 totali, pronto a scivolare nelle casse di Santa Romana Chiesa. Ma prima c’è da sbrogliare la matassa giudiziaria che da quasi due anni avvolge la partita della successione al vertice: i parenti del patron Michelangelo Manini, scomparso il 17 marzo 2012, sono infatti decisi a reclamare le proprie spettanze, mentre il cardinal Carlo Caffarra, arcivescovo bolognese, sventola i tre testamenti «olografi», (cioè scritti dal pugno del compianto proprietario) che affidano il 66 per cento dell’impero Faac alla Curia (il resto è in mani straniere). Testamenti contestati dai familiari, ma giudicati autentici dai Ris. Il responso è arrivato nelle scorse ore: la perizia grafologica voluta dai pm titolari dell’inchiesta per falso – innescata dalle denunce dei parenti – ha accertato che firma e ultime volontà sono proprio quelle di Manini. Così la Curia ora tenta la zampata. Forte del giudizio dei Ris, annuncia istanza perché il giudice civile revochi il custode giudiziario della Faac – nominato dal tribunale – che ha oggi in mano il patrimonio azionario dell’azienda. Ma il cammino è complesso e parecchio intricato. Sull’eredità contesa, infatti, pesano un’in – chiesta con tre ipotesi di reato, un sequestro, inquietanti fatti di cronaca. Roba da romanzo giallo: addirittura nel giugno scorso lo studio del legale della curia, Andrea Moschetti, fu violato dai ladri. Nessun danno, niente di prezioso sottratto. Ma su quell’episodio rimane l’ombra del sospetto, che parla di spionaggio e intimidazioni. C’è di più. Tre legali risultano indagati per tentata estorsione ai danni della Curia. Secondo le accuse, avrebbero fatto pressioni indebite per arrivare a un accordo, subito rispedito al mittente dal cardinal Caffarra. Nella rete è finito pure il dentista di Mister Faac. Il professionista nell’estate del 2012 ha rivendicato l’intera porzione della torta aziendale, esibendo un proprio testamento. L’ennesi – mo. Risultato: anche lui è finito sotto indagine, dopo una denuncia della stessa Curia. Non c’è da stupirsi di un tale accanimento. La guerra ha una posta in gioco parecchio alta. Al centro c’è infatti la possibilità di mettere le mani su un patrimonio che conta migliaia di dipendenti, dodici stabilimenti, ventiquattro filiali. Insomma: una «potenza» industriale mondiale. Per ottenerla i parenti dimostrano grande determinazione, ma il cardinal Caffarra non è da meno. La sua scelta di rifiutare accordi nasce – come spiega l’economo dell’arcidiocesi, Gian Luigi Nuvoli – «dal rispetto delle volontà del defunto» proprietario. Cioè: «Mantenere la Faac a Zola Predosa (Bologna, ndr) e utilizzarne gli utili per lo sviluppo dell’azienda e per le opere di bene». Nemmeno l’intervento di un alto prelato vaticano – deciso alla «mediazione» – avrebbe smosso la granitica volontà del porporato felsineo. Così oggi continua il braccio di ferro. I parenti se la prendono con i pm («la perizia dei Ris l’ha avuta prima la stampa e noi siamo ancora in attesa») ed esibiscono il responso di un professionista da loro incaricato, che smentisce il lascito alla Curia. Per loro la partita è quindi ancora sull’1 a 1, palla al centro. Non la pensa così Caffarra, che già esulta: «Suoneremo le campane della basilica di San Pietro, la nostra cattedrale». E aggiunge: «Pensavamo e credevamo di essere nel giusto e oggi ne abbiamo avuto la conferma ». La politica, manco a dirlo, si divide. Prudente il giudizio di Silvia Noè, consigliere regionale bolognese in quota Udc, nonché cognata del leader Pier Ferdinando Casini: «L’importante è fare chiarezza su chi sia l’erede, che deciderà il da farsi». E se l’azienda finisse una volta per tutte nelle mani della Curia? «Sono certa che saprà decidere con onestà, responsabilità e coscienza come comportarsi». La pensa diversamente Gian Guido Naldi, consigliere regionale Sel, già sindacalista Cgil: «Nutro dubbi sul fatto che le parti in campo siano capaci di gestire la Faac. Mi auguro che, comunque vada, l’azienda sia affidata a una gestione manageriale e che rimanga bolognese ». Certo è – per l’esponente vendoliano – che «questa contesa ha poco a che fare con la tutela dell’azienda e del proprio patrimonio, e sta «sballottando» di qua e di là i dipendenti. Tutto ciò mi preoccupa». Certamente Manini, scomparso a 50 anni dopo lunga malattia, non avrebbe gradito tutto questo.