Il vento ora sembra spingere gli italiani alle urne tra febbraio e marzo, sotto la guida di un governo «di scopo» destinato a campare pochi mesi: il tempo di cambiare la legge elettorale, approvare qualche provvedimento economico e poco più. Ci sono però due incognite enormi. Intanto bisognerà vedere se il voto di metà ottobre che si terrà a scrutinio segreto nell’aula del Senato (difficile che le dimissioni siano davvero date il 4 ottobre, dopo il giudizio della giunta) sancirà la decadenza di Silvio Berlusconi dal Parlamento. Certo, sarebbe clamoroso qualora così non fosse: Pd, grillini e vendoliani, ufficialmente favorevoli alla cacciata, da soli contano 165 voti, e la maggioranza del Senato si raggiunge a quota 161. Ma i precedenti, a partire da quello su Bettino Craxi del 29 aprile del ’93, consigliano prudenza. Ed è evidente che i parlamentari del Pdl stanno minacciando le dimissioni anche per condizionare l’esito di quella votazione. Il secondo dubbio riguarda proprio le reali intenzioni degli azzurri e del loro leader: sono davvero disposti ad andare sino in fondo, abbandonando lo scranno per ottenere lo scioglimento delle Camere? Su Berlusconi il partito è compatto, ma resta da vedere quanto convenga al capo sganciare l’equivalente di una bomba atomica politica, che scatenerebbe la rappresaglia del Quirinale: sarebbe la rinuncia preventiva a ogni provvedimento di clemenza, da quello per la condanna al processo Mediaset a quelli per le condanne che rischiano di colpirlo nei prossimi mesi. Però, se dimissioni saranno, spazi per la durata della legislatura non se ne vedono. Chi dice «Nessun problema. Entreranno in carica i primi dei non eletti nelle liste Pdl» (Nicola Morra, capogruppo grillino al Senato), avanza una tesi corretta da un punto di vista formale, ma insostenibile da quello politico. I deputati pidiellini sono 97, i senatori 91: il subentro dei non eletti, per quanto previsto dalla legge, non appare attuabile su scala tanto grande. Alle ultime elezioni il Pdl ha ottenuto il 21,6% dei voti e adesso tutti i sondaggi lo fotografano primo partito attorno al 27%: la legislatura non può sopravvivere a una simile scossa. Anche perché il gesto del Pdl va nella direzione desiderata dal Pd, la cuinomenclatura(Guglielmo Epifani, Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema) vedrebbe finalmente realizzato il proprio sogno: ottenere il voto anticipato, utile per bloccare le ambizioni di Matteo Renzi, scaricando ogni responsabilità su Berlusconi e i suoi. L’esecutivo pare così avere i giorni contati. I ministri del Pdl, sebbene a malincuore, sono già pronti ad allinearsi alla decisione del partito. Lo stesso Enrico Letta, che ha sempre detto di non avere intenzione di governare «ad ogni costo», potrebbe salire sul Quirinale per presentare le proprie dimissioni prima che i berlusconiani gli stacchino la spina. Una mossa che chi gli ha parlato ieri non esclude possa avvenire già di ritorno dal suo viaggio oltreoceano, destinato a concludersi oggi, se nel frattempo il premier non avrà ricevuto assicurazioni da Angelino Alfano e dagli altri mediatori. A questo punto starebbe a Giorgio Napolitano decidere cosa fare. Il primo dubbio riguarderebbe la propria permanenza al Quirinale: nei colloqui informali il Capo dello Stato ha sempre detto che si sarebbe dimesso appena i partiti avessero tradito il patto delle grandi intese. È probabile però che, anche per non tradire le aspettative riposte in lui dai suoi referenti internazionali, il presidente della Repubblica non intenda abbandonare il Colle in un momento così difficile. Di certo non vuole mandare gli italiani alle urne con l’attuale legge elettorale, destinata a essere dichiarata incostituzionale dalla Consulta in tempi brevi. Per pilotare la riscrittura delle regole del voto e approvare gli interventi sui conti pubblici resi necessari dagli obblighi europei si renderebbe così necessario un nuovo governo. Un governicchio a termine, nato con la data di scadenza già impressa, che nascerebbe dall’incontro del Pd forse con Scelta civica, di sicuro con Sel e, soprattutto, con tutti o parte dei parlamentari grillini, alcuni dei quali smaniano da tempo. Per paradosso, l’assenza del Pdl dall’aula renderebbe una simile operazione di facile realizzazione al momento di ottenere la fiducia. Ma anche se i berlusconiani dovessero partecipare alla votazione, i numeri per un governo del genere si troverebbero facilmente. Alla Camera il problema non si pone, visto che il deprecato Porcellum ha assegnato al centrosinistra la maggioranza assoluta dei seggi. Al Senato, Pd, Sel e gruppo per le Autonomie contano insieme 125 voti. Con Scelta Civica arriverebbero a 145, e a costoro si aggiungerebbero i quattro senatori a vita provvidenzialmente nominati da Napolitano pochi giorni fa (Claudio Abbado, Renzo Piano, Carlo Rubbia ed Elena Cattaneo). A questo punto basterebbe l’ap – porto – scontato –di pochi grillini per dare all’esecutivo addirittura la maggioranza assoluta dei voti dell’aula. Sarebbe comunque un governo composto da materiale disomogeneo e raccogliticcio, quindi debole e inadatto a guidare l’Italia in una fase così difficile. Esaurirebbe il proprio, limitatissimo compito portando l’Italia alle urne. Convocato il nuovo Parlamento, Napolitano potrebbe finalmente dimettersi, lasciando che siano le Camere appena elette a scegliere il suo successore.