Francesco Schettino proprio non ne vuole sentire parlare di assumersi la responsabilità del naufragio della Costa Concordia. Ieri, per la prima volta nelle vesti di imputato, l’ex comandante ha parlato in aula ed è stato un fiume in piena. Ma solo per addossare altrove le colpe di quella tragedia costata 32 vite. Nella prima udienza del processo che, dopo la pausa estiva, si è riaperto, l’uni – co imputato è intervenuto con dichiarazioni spontanee per accusare il timoniere. Nel tribunale allestito al cinema Moderno di Grosseto, Schettino ha spiegato il proprio punto di vista: «Nel momento in cui ho chiesto al timoniere di mettere i timoni a sinistra, l’errore è stato di non farlo, in quel momento la nave aveva un’accelerazione a destra. Se non ci fosse stato l’errore del timoniere di non posizionare i timoni a sinistra, non ci sarebbe stato quello schiaffo», ha incalzato l’imputato. La teoria del comandante che quasi due anni fa abbandonò la nave e i passeggeri mentre il colosso marino da crociera stava colando a picco, su un fianco, non è condiviso dal collegio di periti incaricati già in fase istruttoria di verificare anche questa ipotesi. «Il timoniere ritardò la manovra di 13 secondi, ma l’impatto ci sarebbe stato ugualmente», ha ribadito in aula, senza mezzi termini, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, a capo dei periti del gip che nel 2012 eseguirono l’incidente probatorio sulla Costa Concordia. Il collegio aveva proposto tre domande precise ai periti: quanto incise nel naufragio della Costa Concordia l’errore del timoniere indonesiano Jacob Rusli Bin nell’esecuzione dell’ordine di Schettino vicino al Giglio; quanto incise l’avaria ai generatori di emergenza sugli altri apparati della nave (timoni, ecc.); come funzionarono le pompe di emergenza e le porte stagne. Ebbene, la risultanza è stata che le cose non sarebbero cambiate di molto. Anche se, al riguardo, l’unico imputato non si è arreso ed è intervenuto nel corso dell’udienza una seconda volta: «Con l’effetto del timone a sinistra volevo far ridurre la velocità angolare della poppa, favorendo l’avanzo (della nave, ndr) rispetto alla rotazione» davanti agli scogli. Perciò, secondo Schettino, la causa di tutto fu «il timoniere», che «non eseguì correttamente l’ordine, mise il timone al contrario e urtammo». I tecnici peritali hanno chiarito anche la questione del generatore: non funzionò, è vero, tuttavia «il generatore d’emergenza non avrebbe avuto nessuna influenza sull’evento». Inoltre, si legge nella perizia, «dalla scatola nera è emerso che dopo l’urto i timoni rimasero sempre a 35 gradi, il massimo, e non furono dati altri ordini (da Schettino, ndr) e la nave era comunque ingovernabile: non erano possibili manovre alternative d’emergenza». E questo è il contrario della difesa di Schettino che fin dalle prime ore aveva raccontato di aver portato (dopo l’urto) la nave vicino al porto con una manovra d’emergenza proprio per salvare i passeggeri. Schettino e i suoi difensori vogliono la possibilità di fare una contro perizia. Per questo hanno chiesto id potere salire a bordo della Concordia con un pool di esperti di loro fiducia. Stessa richiesta è stata avanzata dal Codacons e da altre parti civili. Nel frattempo a Firenze il procuratore generale presso la Corte d’appello ha presentato un ricorso in Cassazione sui cinque patteggiamenti decisi dal gup di Grosseto nel luglio scorso. Tra i cinque c’è anche il timoniere ritirato in ballo dall’ex comandante.