Novecentottantuno giorni. Novecentottantuno giorni – due anni e otto mesi – scivolati via velocemente e con troppi dubbi, ma almeno con un atto ufficiale: un indagato. L’unico in questi quasi tre anni di dolore e misteri, errori, ipotesi e goffi tentativi. Le accuse non hanno mai convinto, ma facevano almeno sembrare la caccia all’assassino di Yara Gambirasio – la ragazzina di 13 anni sparita da Brembate Sopra (Bergamo) il 26 novembre 2010 e ritrovata morta in un campo di Chignolo d’Isola (a pochikmdi distanza) il 26 febbraio successivo, esattamente tre mesi dopo – qualcosa di concreto. Non improvvisato. Già, perché per novecentottantuno giorni, dal 4 dicembre 2010 fino a ieri, il marocchino Mohamed Fikri è stato iscritto al registro degli indagati, prima con l’accusa di omicidio e occultamento di cadavere e poi con quella di solo favoreggiamento e ora che la sua posizione è stata ufficialmente archiviata, si ha la sensazione di smarrimento. Di vuoto. La sensazione di essere tornati al punto di partenza senza aver nulla in mano. Qualcosa più di una sensazione. Fikri lavorava nel cantiere di Mapello – quello in cui andarono i cani molecolari (ma in realtà solo il primo si diresse lì mentre il secondo corse dalla parte opposta, verso Bergamo, e al cantiere ci fu portato in furgone!) la notte in cui è sparita la traduzione non era corretta. Fikri è rimasto comunque indagato fino a ieri,quandoil fascicolo a suo carico è stato definitivamente archiviato. A presentare la richiesta era stata lo scorsogiugnola Procura di Bergamo dopo che il gip aveva accolto una richiesta di archiviazione per l’accusa di omicidio, disponendo nuove indagini per favoreggiamento. A maggio si era svolto l’inci – dente probatorio riguardante le quattro telefonate eseguite da Mohammed Fikri e poste al centro di una nuova perizia (da parte di un docente universitario di Lingue Orientali) conclusasi – di fatto – con un ulteriore passo avanti verso l’ar – chiviazione della posizione. Due in particolari le telefonate ritenute più importanti. Nella prima era emerso che la fidanzata di Fikri avrebbe chiesto al compagno marocchino: «L’hanno uccisa vicino al cancello?» Secondo il perito, il dialogo fra Fikri e la fidanzata era avvenuto quando quest’ul – tima aveva già visto i telegiornali e pertanto sapeva già dell’accaduto. Fikri a sua volta, secondo il docente, aveva risposto con «Non so, può essere ». La seconda riguardava le parole in precedenza tradotto come «Non l’ho uccisa io». Secondo il perito la parola uccidere non era mai stata pronunciata. Fikri – in attesa di parlare con un conoscente prima di tornare in Africa – avrebbe invece detto «Mio Dio, mio Dio facilitami (agevolami) nella partenza», come del resto avevano già sostenuto il consulente del pm e la difesa di Fikri. E così, ora che l’unico indagato esce definitivamente di scena, la sola pista su cui si indaga è quella del Dna (ne sono stati analizzati 18mila: costo più di tre milioni di euro) che ha portato a Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno morto nel 1999. L’assassino sarebbe un suo figlio illegittimo. E quei bergamaschi (fortunatamente pochi), che alla notizia dell’arresto di Fikri avevano sfoggiato esultanza razzista davanti alle telecamere, ora si trovano a doversi guardarsi dentro. A guardare la propria terra e le proprie origini. Perché il mostro, probabilmente, non è venuto da lontano.