Per chi sperava di portare l’Italia ai livelli degli Stati Uniti, i sei milioni di aderenti alle varie forme di previdenza complementare sono una delusione. Per chi invece puntava a galleggiare in un momento di grave crisi economica, quei numeri, comunque in crescita, rappresentano il segnale di una tendenza irreversibile. Questione di punti di vista. Sta di fatto che la necessità di integrare la pensione di base è tremendamente seria e lo diventerà ancor di più con il passare degli anni. Con il passaggio dal sistema retributivo (il calcolo in base agli stipendi degli ultimi anni della vita lavorativa) al contributivo (il calcolo in base ai contributi effettivamente versati) le nuove generazioni si ritroveranno a dover affrontare gli anni della vecchiaia con un assegno tra il 70 e il 50% della loro ultima busta paga. Per molti potrebbe essere uno shock. Anche perché, ed è questo il dato più preoccupante, il 30% degli italiani non si preoccupa minimamente di questo squilibrio e risponde a un recentissimo sondaggio di Plus24-Ipr Marketing che sottoponeva loro il quesito con uno sconfortante «si vedrà a suo tempo». In realtà conviene pensarci da subito. E altrettanto in fretta è necessario capire opportunità e rischi dei fondi pensione. Anche perché più sei un giovane lavoratore e più sarà basso il tuo tasso di sostituzione (il rapporto fra la prima rata che si riscuote quando si va in pensione e l’ultimo stipendio percepito). CHE TIPO DI FONDO? Per i lavoratori dipendenti la scelta più naturale è quella di aderire ai cosiddetti fondi negoziali che sono istituiti grazie ad accordi collettivi tra gli stessi lavoratori e i datori. Sono prodotti che si rivolgono ai lavoratori di un’intera categoria contrattuale oppure agli addetti di una impresa o di un determinato territorio. Tanto per intendersi: Fonchim, fa riferimento ai lavoratori dell’industria chimica e farmaceutica, mentre Telemaco è per chi presta servizio nelle imprese di telecomunicazione. Poi ci sono i fondi aperti, creati direttamente da banche, compagnie di assicurazione e società di gestione del risparmio (si può aderire in forma individuale o collettiva), e i cosiddetti Pip, piani individuali previdenziali che si attuano mediante contratti di assicurazione sulla vita. In questo caso l’adesione avviene solo su base individuale. Sia gli autonomi che i dipendenti possono scegliere tra le tre tipologie. Con qualche differenza. Solo se sei un dipendente hai la possibilità di trasferire il tuo trattamento di fine rapporto entro sei mesi dall’assunzione nei fondi. E ti troverai davanti a una scelta molto importante. Mantengo la mia liquidazione (pari al 6,91% della retribuzione annua) in azienda in modo che si rivaluti dell’1,5% più il 75% del tasso di inflazione ogni anno o la sposto nella previdenza complementare e perdo o guadagno a seconda dell’andamento dei mercati? (da ricordare che esistono dei paletti molto rigidi per evitare investimenti speculativi). Così come solo se sei un lavoratore dipendente avrai la possibilità di versare il contributo volontario previsto dal contratto costringendo il datore di lavoro a rimpolpare la tua pensione integrativa. Di solito il suo versamento varia tra l’1 e il 2% del salario lordo che moltiplicato per gli anni di lavoro diventa un bel bottino. LE TASSE Ma i veri vantaggi dell’ade – sione alla previdenza complementare sono quelli fiscali. Se lascio il Tfr in azienda, infatti, nel momento in cui incasso la mia liquidazione dovrò versare all’Erario le normali tasse a seconda dello scaglione Irpef al quale appartengo. I fondi, invece, sono soggetti a un’aliquota che oscilla tra il 15 e il 9%: dopo i primi 15 anni l’aliquota del 15% si riduce dello 0,30 per ogni anno successivo fino ad un massimo di 6 punti. Così come sarà bene ricordare che i rendimenti dei fondi scontano una tassazione all’11% contro il 20 delle altre attività finanziarie. COME USCIRE? L’altra questione che interessa gli italiani è quella legata alla flessibilità dell’investi – mento. Ci si chiede? Ma se metto il Tfr nei fondi, poi potrò prelevare della liquidità quando mi serve? Ecco la risposta. Se lascio la liquidazione in azienda potrò chiedere un’anticipazione dopo 8 anni nel limite complessivo del 70% dell’importo maturato, per motivi sanitari, acquisto o ristrutturazione ordinaria o straordinaria della prima casa e per congedi parentali. Le regole dei fondi, invece, prevedono maggiore libertà. Quanto maturato, infatti, può essere anticipato, al 75%, in qualsiasi momento per questioni sanitarie e più volte nel corso della vita lavorativa. Mentre per qualsiasi ulteriore motivo dopo otto anni si possono ottenere anticipazione fino al 30% del maturato. LE SCELTE Ma nella vita si può anche cambiare idea. Inizialmente hai deciso di mantenere il Tfr in azienda e poi te ne sei pentito? È bene sapere che la scelta di mantenere il Tfr in azienda può essere rivista in un qualsiasi momento con effetto che però varrà solo per il periodo successivo. Mentre al contrario la scelta di conferire la liquidazione alle forme pensionistiche complementari è irrevocabile, nel senso che non si può tornare ad accantonarla in azienda. Come è ovvio: più abbiamo anni lavorativi davanti a noi e maggior senso ha aderire a alla previdenza complementare. Ma non esistono reali controindicazioni anche quando mancano pochi anni al momento del pensionamento. Soprattutto se si decide di partecipare alla forma negoziale prevista dal contratto collettivo. In questo caso si può ottenere anche il contributo del datore di lavoro a cui altrimenti non si avrebbe diritto.