La faccenda è delicatissima, i suoi contorni sono tutt’al – tro che chiari e l’autorità giudiziaria sta svolgendo le dovute indagini, perciò bisogna procedere con i piedi di piombo. Già adesso, tuttavia, lo scabroso affare in cui sono coinvolti il cantante Massimo Di Cataldo, 45enne romano, e la sua ex compagna, la trentenne «artista visuale» (qualunque cosa questa definizione significhi) Anna Laura Millacci, autorizza qualche cauta considerazione. Tanto più che ieri sono spuntate delle nuove fotografie che hanno fatto riguadagnare alla vicenda le prime pagine di quotidiani, telegiornali e siti d’infor – mazione. Sono foto che ha pubblicato in esclusiva il sito del settimanale Oggie che, come quelle che hanno dato avvio al caso, ritraggono la Millacci la sera del 18 giugno 2013. Ma le analogie terminano qui. Per il resto, le foto di cui stiamo parlando non potrebbero essere più diverse. Nelle prime, quelle che lo scorso 19 luglio Anna Laura Millacci ha inserito nella sua pagina di Facebook accusando di percosse e violenze il fidanzato Massimo Di Cataldo, si vede una giovane donna dal viso arrossato e, in più punti, imperlato di sangue. Nelle seconde, quelle tirate fuori da Oggi, si vede la stessa giovane donna in una situazione opposta: apparentemente lieta mentre – stringendo un drink fra le mani in un locale romano – sorride all’obiettivo assieme ad alcuni amici. Secondo la minoranza di «innocentisti» che, fin dal primo momento, ha ritenuto giusto prendere le difese di Di Cataldo, queste immagini scagionerebbero il musicista e dimostrerebbero come la Millacci abbia allestito una crudele e sconsiderata montatura allo scopo di vendicarsi – per ragioni ancora ignote – dell’ex fidanzato, garantendosi al contempo un’abbondante dose di pubblicità gratuita. Sicuramente può insospettire che fotografie scattate più o meno nelle medesime ore restituiscano due versioni così poco conciliabili della medesima persona ma, a onor del vero, può benissimo essere accaduto che la Millacci sia stata picchiata dal suo partner proprio al ritorno da quel ristorante capitolino, dove peraltro era andata per l’appunto da sola, senza Di Cataldo, forse a riprova di un momento non idilliaco dopo 13 anni di una relazione che è sempre stata, a quanto si dice, problematica e tormentata. Le prudenti considerazioni cui accennavamo sopra e che è legittimo formulare sono altre. Nella versione dei fatti fornita da Anna Laura Millacci ci sono diversi elementi che, obiettivamente, lasciano perplessi. In primo luogo la scelta di motivare la pubblicazione su Facebook di quelle terribili foto (includendo cinicamente quella di un feto – per fortuna ancora presunto – che sarebbe stato abortito dalla donna proprio a causa delle botte ricevute) con la seguente motivazione: «L’ho fatto perché i miei genitori non mi credevano». È una spiegazione debole, giacché ad Anna Laura, per essere creduta dal padre e della madre, sarebbe bastato far vedere quelle foto appunto ai propri genitori, anziché all’Italia intera. O, meglio ancora, andarci di persona, dai suoi genitori, e mostrare loro come l’aveva ridotta il compagno. Per poi recarsi, magari proprio in compagnia dei genitori, presso un commissariato dove denunciare l’accaduto. Invece Anna Laura ha preferito esibire la propria sofferenza nel modo più plateale e più «spettacolare» possibile. La condotta della Millacci, sia chiaro, non deve far pensare che lei si sia inventata tutto. Tale dubbio, che preferiamo ricacciare subito indietro, possono semmai insinuarlo le ferite di cui la donna fa mostra in quelle scioccanti fotografie: di tumefazioni e lividi non se ne vedono, e il sangue non si capisce bene da dove sia uscito (tutto dalla narice destra?). Ma il punto, lo ripetiamo, non è questo. Il comportamento di Anna Laura, e in generale l’intera vicenda che vede protagonisti lei e Massimo Di Cataldo (vicenda in ogni caso triste, qualunque sia la verità che le sta dietro), è significativa per due ragioni di tutt’altra natura. La prima è che getta una luce tutto sommato inedita – almeno con questa vividezza – sulle frustrazioni, il dolore, la vera e propria disperazione che spesso sperimenta chi è confinato nel sottobosco dello spettacolo, dell’arte e della cultura (un sottobosco molto più vasto di quanto si pensi, o quantomeno di quanto pensi chi non ne ha una conoscenza diretta). La seconda è che essa mostra come nell’era di Facebook, in cui ognuno, in qualsiasi momento, può fare realmente e senza alcun pudore spettacolo di se stesso, la tipologia di show che va per la maggiore (forse perché, dello spettacolo, rappresenta la frontiera estrema, quella che si spinge sistematicamente ai confini del mostrabile) sia in fondo la pornografia.