L’Inferno di Dante può attendere, almeno per una mezz’oretta. Prima c’è il girone della politica, quella contemporanea. Che Benigni, in Piazza Santa Croce accanto alla statua del Poeta, spiega con sue rime. Staffilate di ironia. Ce n’è per tutti, per il sindaco Matteo Renzi, «il nemico numero uno del Pd», «un uomo di tanti primati: il presidente della provincia più giovane, il sindaco più amato d’Italia, l’unico a perdere contro Bersani». Siede accanto al minis t ro Ma s s imo Bray, «che si occupa di rovine» mentre «Matteo del Pd» e dunque hanno molte cose in comune. «E poi pensate —urla Robertaccio ai 2500 spettatori (lontani dal record dei 5 mila dello scorso anno) — due politici che stanno andando d’accordo, non litigano e sono tutti e due dello stesso partito: il Pd». Benigni guarda il cielo e racconta alla sua gente che tutto cambia e c’è un grande sconvolgimento. «Un presidente Usa nero, due papi, Pd e Pdl che governano insieme, un rigore contro la Juve». E poi parla della crisi, che imperversa, tanto che alla tv per far stare buoni gli affamati i programmi sui cuochi si sprecano. Non mancano le battute sullo scandalo delle escort a Firenze. «Quando l’ho saputo ho pensato che Renzi si esercitasse al fare il premier» e alle polemiche per la chiusura di Ponte Vecchio per una cena di Montezemolo ha chiesto a Renzi di «che colore è la Ferrari che gli ha regalato». E Berlusconi? C’è eccome. «A Milano Leonardo già faceva l’ultima cena tanti anni fa e c’era una donna sola e neppure certa – dice Roberto – ad Arcore nelle cene c’è un uomo solo insieme a tutte donne». E poi ecco una canzone esilarante e scanzonata dedicata al Cavaliere e intitolata «Io sono il boss» che manda in estasi la piazza. Insieme al racconto della telefonata di Berlusconi alla polizia, che ha fermato per eccesso di velocità Enrico Letta: «Lasciatelo andare è nipote di Gianni» e lo ha salvato come Ruby con Mubarak. E ancora: «Al Pd non ne va bene una. Hanno aspettato per anni una condanna a Silvio e ora, se arriva, non possono neppure esultare perché sono alleati». Poi, dopo la inevitabile, drammatica ed esilarante contemporaneità, ecco il Benigni— che dedica la serata agli amici scomparsi di recente, Vincenzo Cerami e Carlo Monni — immerso nel sublime Inferno di Dante. Il XXIII canto, quello degli ipocriti. Che nella magica notte di Santa Croce, sembra anch’esso privato del tempo e dello spazio, come se la sesta bolgia dell’ottavo cerchio si fosse allargata come un improbabile buco nero alla modernità e al vissuto di noi posteri. «Taciti, soli, sanza compagnia n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo, come frati minor vanno per via», declama Begnigni, già trasfigurato dal giullare della prima parte a cantore di quei versi imparati a memoria eppure espressi con il grande stupore della prima visione di un’arte immortale. E sembra di vederli i dannati procedere lenti e dolenti, mentre stanchi indossano pesanti cappe e Dante e Virgilio li superano ad ogni passo. È un altro spettacolo quello che ci offrono Roberto e la notte di Santa Croce. E per altre undici notti arriveranno altri versi e altri personaggi.