Tornando a casa. Niente Australia, Livorno o Atalanta: Fabrizio Miccoli passa al Lecce, la squadra della sua terra, il Salento, e del suo cuore. Miccoli è nato a Nardò, è cresciuto a San Donato dove tuttora possiede casa e terreni e ha sempre tifato Lecce. Non ci ha mai giocato, però. Sono anni che nelle interviste dice di sognare un gol in maglia giallorossa. Tra poche settimane esaudirà il desiderio, correrà a braccia alzate verso la curva dello stadio di Via del Mare, dove più volte ha preso posto in veste di ultrà, e pazienza se festeggerà reti di Serie C, Lega Pro Prima divisione, perché lì il Lecce è precipitato a causa del calcioscommesse. In questi giorni Lecce e Miccoli sembrano fatti apposta per finire l’uno nelle braccia dell’altro. A Lecce non è bastata la doppia retrocessione «carpiata» del 2012, dalla A alla B sul campo e dalla B alla C per illecito sportivo. All’ultimo chilometro dello scorso campionato di Lega Pro gli ultrà della casa si sono esibiti nell’allucinante gazzarra del ritorno della finale playoff col Carpi. Miccoli ha chiuso nella maniera peggiore i suoi anni a Palermo. Un’intercettazione ambientale del 2011 lo ha marchiato a fuoco: «Quel fango di Falcone» frase da lui pronunciata ci rimarrà nelle orecchie a lungo, forse per sempre. In questa sede non ci uniremo al coro degli indignati: arriveremmo fuori tempo massimo e non faremmo altro che rialzare il tasso della retorica. In un’intervista uscita sull’ultimo numero di Sportweek, Miccoli ha ammesso di essere colpevole, di aver sbagliato per ignoranza e superficialità, e non ha chiesto attenuanti. Si è assunto la responsabilità di aver detto la più grossa cazzata della sua vita. Ha aggiunto che «la mafia gli fa schifo». Lungi da noi l’intenzione di giustificarlo o perdonarlo, però giunti a questo punto della vicenda non ha più senso trattarlo come un appestato. Miccoli risponderà delle sue parole, e delle sue criminogene frequentazioni palermitane, sia in sede penale sia nell’ambito della giustizia sportiva, visto che la procura della federcalcio ha aperto un fascicolo. Non crediamo che la passerà liscia.E’ possibile, per non dire probabile, che il calciatore venga squalificato per un po’ di tempo. L’uomo non andrà in galera, ma forse un affidamento ai servizi sociali magari una bella razione d’ore di lavoro in una di quelle cooperative sorte su terre confiscate alle mafie lo aiuterà a capire che il fango sta nell’illegalità, e non all’ombra dell’albero che a Palermo tiene viva la memoria di Falcone e Borsellino. Il personaggio è contraddittorio: Miccoli si è fatto tatuare l’immagine di Che Guevara su un polpaccio, professa (o ha professato) simpatie per partiti di sinistra, per non dire comunisti, possiede una Ferrari e ha fatto pubblicità a una società di gioco d’azzardo online. Qui e ora, però, ci preme ricordare che Fabrizio Miccoli è stato un grande giocatore. C’era un tempo in cui lo chiamavano il Romario o il Maradona del Salento. Aveva colpi pazzeschi, sudamericani. L’avanzare dell’età ha appena compiuto 34 anni , gli infortuni e il sovrappeso ne hanno condizionato il rendimento nelle ultime stagioni, ma nell’ex Serie C1, con i suoi piedi, può fare tutta la differenza che serve per riportare il Lecce in una categoria più adeguata. In fondo tra talento e Salento c’è un’unica consonante di differenza.