Mercoledì sera, il trionfo di Riccardo Muti alRavenna Festival ha avuto fotografia nello scatto in piedi sul Fra dell’Inno nazionale, e nel canto dei quattromila spettatori. Brivido e colpo d’occhio indescrivibili. Il programma verdiano è seguito della stessa intensità, e sembrava che i vulcani della terra avessero concentrato tutte le piroclastiche energie nella bacchetta più italiana d’oggi. Italiana d’Italia vera, dico: di Dante, Leopardi, Manzoni e diGiuseppe Verdi, appunto. Nulla da spartire con le troppe mezzecalzette sui podi d’adesso, straniere alla grandezza della nostra storia quanto l’austriaco a Beppino. Me l’aspettavo, l’apoteosi, e non solo ché da note tanto grandi non può che versarsi gloria. L’attendevo dall’aver seguito le prove per intero. È nata lì, dal lavoro immaneedallasuaetica, ilsensodidoveree di rispetto per arte, talento e pubblico. Muti è uno che studia e fa studiare gli altri. Si palesa questo a chiunque ascolti. Ed è difficile immaginare, a non vederlo, un dio tra i suoi per giorni insegnare nota a nota di sconfinate partiture. Ero lì: ogni passaggio dell’orchestra steso al dettaglio più nascosto, ogni sillaba ripetuta coi cantanti a rendere l’italiano e la sua poesia, nei suoni, più vivi che nell’immagina – zione più feconda. Avreste dovuto sentirlo parlare della erre (la erre, la lettera, la consonante) nell’evocativissima lingua delle opere verdiane; o dell’impasto d’or – chestra e coro, unicopadredell’innumeri tinte di che il Nabucco o la Forza o il Trovatore sono disegno sommo. Ogni frase è stata passata all’ingrandimento di una conoscenza direi spericolata. Spericolata, sì, ch’è incredibile solo pensare di tener insieme tanto sapere come niente fosse, come specchio liscio d’una logica musicale e del teatro, luminosa e perentoria, da apparire facile siccome il sole sbuca d’al – ba all’orizzonte. Grande anima di trecentocinquanta uomini e donne in scena. I cori del Teatro di Piacenza, Rossini e Gazzotti di Modena, Puccini di Sassuolo e Città di Mirandola, preparati da Corrado Casati e messi sulla via da una lezione del Maestro accompagnata al pianoforte da Davide Cavalli, pianista raro di palcoscenico e senza gli arronzamenti che spesso ammorbano questi pilastri dello studio lirico. L’orchestra poi: immensa e strepitosa, formata dalla Giovanile Cherubini (in cura di quella gran musica che è Carla Delfrate), la Giovanile Italiana (del caro e bravissimo Nicola Paszkowski) e gli allievi dell’Istituto Vecchi-Tonelli di Modena e Carpi. A guardarli, oltre che sentirli, conti che l’Italia abbiaunavita ancora. Non solo: ti dai ragione del corista che ha pittato inmodenese igiorni di fatica col sodale di spartito. Lo trascrivo: «Dio, Muti. Le ore passano che non te l’aspetteresti mai, per tutti gli imbecilli di maestri che straparlano di lui sapendo ancora meno di noi qui». Confermo. I solisti: comincio da Francesco Meli, tenore che voce fresca e potentissima, modi nobili e devozione allo spartito mai lo mischieranno a quelli della schiatta di desinenza in azzi. Continui così e sarà dritto nella storia. Aproposito, ad ascoltarlo e leggere che Bocelli, da stella poppettara che è, sarebbe non dico l’erede di Pavarotti ma un tenore stesso, ridono i polli. Il baritono Nicola Alaimo ha possanza d’oro. Anna Malavasi, mezzosoprano, fascino; e Luca Dall’Amico è un musicista enorme, basso non solo d’ope – ra ma da Dichterliebedi Schumann e Heine, per intenderci. Infine Teona Dvali, soprano, bellissima, una Jolie a cantare strabene la Vergine degli Angeli: guardava il gesto di Muti con la determinazione di chi vuole, vuole, «fortissimamente vuole», e sa imparare. L’ultima considerazione per il Ravenna Festival. C’è da chiedersi ogni voltacomefacciano questa trentina di ragazzi (parte di loro giovani d’anagrafe, e l’altra parte che incarna di sorriso la giovinezza) a fare quel che fanno in questa soglia di valore. A un ministero occorrerebbero un paio di centinaia di persone, e difficilmente avrebbero tanto risultato. Ecco l’Italia che sa farsi ancora onore, suggerendo un nuovo orgoglio d’esser nati qui. Quanto a me, che sono stato quattro giorni al sole, a godere musica fin dentro i visceri, Dio m’esaudì. Replica l’altroieri a Mirandola, per le Vie dell’Amicizia. La cittadina del terremoto ha insignito il maestro Muti del Premio Pico.