Per sapere chi è il «Lone ranger» bisogna essere vecchietti. Oppure indefessi ricercatori del cinema e dei fumetti perduti. Lone ranger nasce nel 1933 come serial radiofonico (grande trovata d’esordio, l’ouverture del Guglielmo Tell ogni volta che l’eroe parte al galoppo). Nel 1939 diventa un serial alla Tv e un fumetto pubblicato su Topolino. Nel 1950 un ciclo televisivo e poi più nulla, fatta eccezione per un ultimo (fallito) tentativo nel 1981 di rilanciarlo al cinema con il titolo di The legend of the Lone ranger. Poi il silenzio totale. Quindi forse non è inutile una premessa sul personaggio a uso e consumo di chi nel 1981 non era ancora nato. Lone Ranger (chiamato in Italia Il cavaliere solitario) non è un cavaliere e solitario non è per scelta ma per costrizione. Era un Texas ranger (un volontario della polizia) e si trovò solo quando una pattuglia di cinque rangers (tra cui il fratello) venne massacrata da una banda di desperados. Raccolto in fin di vita dall’indiano Comanche Tonto (con la T maiuscola, il Tonto Basin è una regione del West), il Lone (nome di battesimo John Reid) decide di abbandonare la polizia e mettersi a fare il giustiziere mascherato. Le sue gesta vengono raccontate nel 1933 (non è un caso) dallo stesso Tonto, ormai vecchio (e simile a una sciampista incartapecorita). Certo, nel West di sessant’anni prima c’era bisogno di giustizieri. Da quelli con le mani perennemente sporche di sangue (come i desperados che quasi uccisero il Ranger) a quelli in guanti gialli, i capitalisti rampanti che si divorarono il West all’indomani della guerra di secessione. Per la verità l’eroe del 1933 diffuso da un’emittente probabilmente di proprietà degli eredi dei rampanti, limitava i suoi atti di giustizia al banditismo violento. Nel nuovo Rangerpoliticamente aggiornato, il nemico principale non è il feroce capo dei fuorilegge (il macilento William Fitchner di Crossing lines) ma il politicante Tom Wilkinson che ha visto nella strada ferrata una straordinaria fonte di guadagno. E pazienza se verrà fatta a spese degli indiani e dei contadini. A metterli a tacere provvederanno gli assassini nel libro paga dei ferrovieri. PIACERÀ Mica tanto a quanti ricordano il fumetto di Flanders e i film e i telefilm degli anni ’50. Dove Tonto era immancabilmente l’«american native» nobile e fiero, (Aurelio Galeppini, quando volle dare un volto a Tiger Jack ,il pard indiano di Tex Willer, si ispirò evidentemente a Flanders). Johnny Depp chiamato a fare il Tonto ripete le sue mossette del capitan Sparrow dei Pirati dei Caraibi e persino le moltiplica. Con lui, la location non sembra più il Far West, ma una carnevalata dei Gay Pride. Il punto è che lo scopo di The Lone Ranger, nelle evidenti intenzioni del produttore Bruckheimer e del regista Verbinski (gli stessi dei Caraibi), non era quello di resuscitare il Cavaliere Solitario,ma di dare a Depp un’ulteriore occasione per sfarfallare (il filone piratesco era ormai stato spremuto come un limone). Quindi premesse abbastanza deprimenti (e inoltre la conferma che il pubblico dei Pride conta più di quello, ormai quasi estinto, dei western). Per fortuna si tratta sempre di un film della pregiata ditta Jerry Bruckheimer. Da almeno 20 anni Jerry a Hollywood è garanzia di grande avventura, di azione che non lascia fiato. La sua rinomanza, partita daThe rock con Sean Connery, è stata consolidata in tempi più recenti da Prince of Persia e King Arthur (grandi avventure che hanno mandato a casa contenti anche spettatori di non facile contentatura). The Lone ranger (decisamente stucchevole quando cerca di non perdere per strada il pubblico dei Caraibi) è trascinante, trionfante quando si lascia andare all’azione a ruota libera (gli stunt men fanno meraviglie cavalcando sui tetti dei treni in corsa e saltando da un convoglio all’altro). Una consolazione per i nostalgici del vecchio Ranger. L’ouverture del Tell è rimasta. Il bianco cavallo Silver galoppa ancora diretto da Gioacchino Rossini.