Mettiamoci d’accordo, ho detto al mio amico che aveva appena sospirato, grondante di sudore: «Mamma mia, che caldo insopportabile!». Quindici giorni fa eravamo preoccupatissimi perché freddo, pioggia e perfino neve sembrava preludessero alla fine del mondo. Dicevamo che in questi giorni, gli altri anni, ma te lo ricordi il caldo che faceva? E ci chiedevamo: cosa sta succedendo? Cosa stiamo facendo alla terra, al cielo, al clima, all’universo? E di nuovo ci veniva in mente il buco dell’ozono. È la nostra ossessione. Ci sembra sempre che sia tutta colpa di quando compravamo lo spray per qualsiasi cosa. Da allora, ci sembra che quella spruzzata di deodorante, di insetticida, abbiano segnato la fine dei nostri tempi. Va bene, fa caldo, fa caldissimo anzi (insopportabile): ma non era questo che volevamo? Non era questo che ci avrebbe tranquillizzati? E invece no: così come quindici giorni fa ci chiedevamo come era possibile che facesse così freddo, adesso ci stiamo già chiedendo come è possibile che faccia così caldo. Se ci sono precedenti, se è normale. Non vediamo l’ora di leggere sul giornale il grado di eccezionalità. A un certo punto quel mio amico, due settimane fa, mi aveva detto che non faceva un freddo così, a maggio, dal Settecento. Ecco la differenza tra me e il mio amico: a lui questa cosa lo turbava tantissimo, pensava che fossimo prossimi alla fine del mondo; a me, il fatto che fosse già accaduto nel Settecento, sembrava invece molto rassicurante, visto che dopo trecento anni eravamo ancora qua. E oltretutto sono convinto che nel Settecento gli spray si usavano di meno, e anche questo lo trovo meno colpevolizzante per la storia del genere umano. Il mio amico fa parte di quella fetta di umanità che, come diceva Watzlawick nelle sue «Istruzioni per rendersi infelici », è convinta che il semaforo sia verde solo quando noi siamo lontani, ma appena ci avviciniamo diventa rosso per farci dispetto; e non solo: il rosso dura evidentemente più del verde. Così affrontiamo il freddo (non finisce mai) e il caldo (non finisce mai): è un atto meteorologico rivolto direttamente a ognuno di noi—contro di noi. Il tempo ce l’ha con me, diciamo. Fa caldo, è vero. Era scontato che accadesse così: più ritardava, più netto e potente sarebbe arrivato. Però dobbiamo smetterla di preoccuparci. Di lamentarci. Di chiedere se c’è un precedente, quanti gradi. Dobbiamo smettere di leggere le istruzioni per difenderci, perché sono identiche all’anno scorso (e forse anche a quelle che si diffondevano nel Settecento): stare a casa, bere molto, mangiare frutta. Tre cose, tra parentesi, che vanno bene per ogni evenienza. Proviamo a smettere di pensare che il semaforo rosso duri più del verde e proviamo a darci delle istruzioni per essere meno infelici, quando fa caldo, e godiamoci il momento in cui con un ultimo passo si entra dal sole nell’ombra e si sente sollievo, gli androni dove sembra si concentrino tutte le correnti che sono rimaste nella città, i corpi seminudi, le scritte divertenti sulle magliette, alcuni sandali eleganti, il sapore del gelato, la casa semibuia con i piedi nudi sul pavimento freddo, la sensazione che la doccia liberi da tutta la sporcizia del sudore, i costumi dell’anno scorso che puzzano di naftalina e che hanno dei disegni bruttissimi (ma ci stiamo ancora dentro), le passeggiate di notte, tutte le cene all’aperto, il vento sulla moto, Techetechetè su Raiuno tutte le sere fino alla fine dell’estate, Wimbledon, il cinema all’aperto, la pila di libri che si forma perché in vacanza li leggeremo tutti, i progetti per la partenza, l’acqua fredda, le notizie di mercato dei calciatori, i bambini sudati, i turisti che visitano i monumenti della nostra città sotto il sole e noi possiamo guardarli e pensare con sollievo che non siamo noi. E soprattutto, il segreto dei segreti: non parlare più del tempo, non badarci più a meno che non sia una necessità seria. Dire «mamma mia che caldo insopportabile!» pare aumenti la percezione del caldo di almeno tre gradi. Il caldo è come un bambino capriccioso: se lo si ignora, alla fine si stanca e la smette.