una settimana dall’alba nera di Niguarda, è il tempo dell’ultimo saluto. Tre funerali distinti per le vittime uccise dalla furia insensata di Mada Kabobo, il ghanese di 31 anni che all’alba di sabato scorso ha ferito due persone e ammazzato a colpi di piccone Alessandro Carolè, Ermanno Masini e Daniele Carella. Per quest’ultimo, di soli 21 anni, il quartiere di Quarto Oggiaro si stringe attorno alla piccola chiesa pentecostale in via Graf, a pochi metri da dove è nato e cresciuto col fratello gemello. Lui è davanti a tutti, sorride e abbraccia le tante persone venute per rendere omaggio a quel ragazzo «buono, esemplare, che non meritava di morire così». Indossa la maglia su cui c’è la foto di Daniele – la sua stessa faccia – e la scritta «mi spiace, non mi hai ucciso». In centinaia indossano la stessa t-shirt, e tutti sentono che davvero Daniele non è morto. Lo dice anche il parroco durante l’omelia, in cui paragona la morte del giovane a un seme dal quale potrà nascere la speranza. «Perché proprio lui? Perché nessuno ha chiesto aiuto? Perché questa persona era libera? Perché nessuno si è accorto che era pericoloso?», chiede il parroco raccogliendo il sentimento di tutti. Anche di Ismael, senegalese col cappello da rastafariano che spicca tra le magliette bianche. «Non conoscevo Daniele – ammette – ma sentivo che era importante pregare per lui». Qualcuno lo guarda con diffidenza, altri sono commossi dalla sua presenza. La speranza invocata è lì, ma lacrime e singhiozzi durano il tempo della funzione, poi torna la rabbia. Inizia tutto con una donna che grida «giustizia! »mentre il cielo si riempie di palloncini colorati liberati dagli amici del 21enne. Un attimo dopo parte della folla assiepata in strada si riversa contro il sindaco Giuliano Pisapia, che qualcuno (esagerando) accusa di essere il vero responsabile. Sono cinque minuti di dura contestazione da parte di un gruppo di persone che riesce a far vacillare il proverbiale aplomb del primo cittadino: «Questa città è diventata invivibile, vergogna, assassino, era meglio se stavi a casa». Frasi pesanti. Perfino gli amici di Daniele – encomiabili per serietà e dignità – riescono a fatica a mettere a tacere i contestatori. Per Pisapia, comunque, quella in via Graf è l’ultima tappa di una giornata lunga e dolorosa per l’intera città, iniziata alle 11 nella chiesa di San Martino in piazza Belloveso, in zona Niguarda. È qui che si è tenuto il funerale di Carolè, il 40enne ucciso da Kabobo davanti al bar della piazzetta. «Era in giro all’alba perché non riusciva a dormire », ripetono increduli gli amici. Come a voler sottolineare che il destino si è accanito contro di lui. L’anziana madre e il fratello sono accolti dall’abbraccio di tutto il quartiere, dove i negozianti hanno tenuto le serrande abbassate in segno di rispetto. «Abbiamo bisogno di aiuto e i tuoi familiari dovranno anche affrontare la rabbia perché la sensazione è quella di non avere risposte – ha detto nella sua omelia don Angelo – Aiutaci a vigilare perché il dolore non si trasformi in odio. Io sono certo che questo tu non lo vuoi». Parole di pietà ripetute da don Fabio Baroncini alle 14.45, al momento del funerale di Ermanno Masini, il pensionato di 64 anni impegnato nel volontariato e amato dalla comunità. «Voglio esprimere la gratitudine di tutta la parrocchia a Ermanno per tutto il bene che ha fatto come volontario – ha detto don Fabio – ma anche la mia gratitudine per tutta la collaborazione che mi ha dato con una grande discrezione». Ermanno era uomo dal profilo basso, concreto, che si dava agli altri senza aspettarsi clamore. Per questo, mentre in via Graf risuona l’applauso di quasi un migliaio di persone commosse, in piazza Belloveso il dolore è silenzioso. Ma altrettanto vero.