«I campioni siamo noi». C’è un’aria carica di pioggia appena trattenuta quando gli steward depongono sul cerchio di centrocampo, come un sudario festoso, lo scudetto di tela con il numero 31. Se n’è andata, però, tutta la protesta antisistema, anti Federazione, anti carte ufficiali, per cui è il 29. Ormai esiste, semplicemente, una doppia contabilità, quella ufficiale e quella para amigos y aficionados. E poi qui a casa Juventus, è da un anno che tutti sono entrati passando sotto le tre stelle e il numero 30, che ora diventerà 31. Per la Juve è così. Punto. Questo è lo stadio dei primi e dei forti, qui i conti si fanno diversamente, qui i conti si fanno con Antonio Conte. E si vede. L’allenatore si sbraccia per caricare una squadra che procede ormai a spallate, dopo sette vittorie consecutive: qui raggiunge l’ottava contro il Palermo grazie, oltre alle spinte dell’allenatore, anche a una spintarella di Donati a Vucinic che, al 14’ del secondo tempo, consente a Vidal di trasformare il (generoso) rigore dello scudetto, il rigore del decimo gol in campionato del «Guerrero», capocannoniere bianconero. È uno scudetto con una volata frenetica: Madama vuole chiudere subito contro un avversario rivitalizzato dal Sannino 2, che non perde da cinque giornate. Il logorio del doppio conteggio, del doppio scudetto, di una lunga stagione cominciata sotto la pioggia il 25 agosto (2-0 al Parma) e appesantita dai mesi travagliati senza Conte in panchina, si sente già da qualche domenica. L’ultima Juventus squillante fu quella di Roma, con la Lazio. Da allora ansima, palleggia un po’ svagata, fa fatica a segnare, si regge sulla tensione che il tecnico mantiene alta da lunedì a domenica (o quando si gioca). Lo stadio è stracolmo di quella juventinità che si è abituata a vincere e considera avvenimenti come questi la normalità. Prima di Conte, forse, nelle stagioni dei due settimi posti, uno stadio così, very british, senza barriere, avrebbe rappresentato un’incognita, considerando anche l’invasione finale. Certo festosa, ma facile. C’è un intreccio gnostico in questo scudetto, nell’avventura della Juventus e in quella, così tribolata, per via della squalifica, del suo allenatore. Alla fine, tutto ritorna su se stesso, tutto si riconcilia. A Palermo, domenica 9 dicembre, sotto una pioggia torrenziale, Conte riconquistò la sua panchina. Con il Palermo, il 5 maggio (data che per i bianconeri ha ormai un significato manzoniano) riconquista lo scudetto. Per lui è una doppia catarsi. Rivincere, fuori dal tunnel giudiziario. È una partita spigolosa, in cui il Palermo coglie anche un palo (tiro di Miccoli deviato da Chiellini) prima del rigore di Vidal e nel finale, fallito in più occasioni il raddoppio (Vucinic, Marchisio, Padoin, Pogba, traversona di Quagliarella) si soffre in dieci per l’espulsione di Pogba (grande tirata di cresta) che sputa ad Aronica. Se ripetersi non è mai facile, è difficile farlo stando quattro mesi a rosicchiare le pareti di un box. Quando Romeo fischia la fine, dopo quattro minuti di recupero, non c’è tempo per la festa, per un giro di campo. Gli ultrà della curva Sud prendono possesso del terreno. Lo speaker e il resto dello stadio chiedono a gran voce di uscire. Quasi riescono nell’impresa. I giocatori ritornano con la maglia celebrativa, ma scatta di nuovo l’assalto. I cotillons sono rimandati alla partita con il Cagliari, sabato prossimo, con la Coppa Scudetto consegnata dalla Lega. C’è entusiasmo, festa, foto ricordo con cellulari e iPad. Mamma guarda come mi diverto. Ma uno scudetto, per i tifosi della Juventus, è sì qualcosa di speciale, ma anche di dovuto. Tutti quelli che sono qui, che sono stati in tribuna o che hanno invaso il campo, in fondo, se l’aspettavano. «Vincere è l’unica cosa che conta», diceva Boniperti. Le anomalie, per loro, si sono verificate con i due settimi posti, non ora, non qui, mentre il bus scoperto scalda i motori per il tour cittadino tra ali di folla già pronte da ore. «Beyond Victory» c’è scritto sulla fiancata (e sulle maglie celebrative). I tifosi, probabilmente, non si rendono conto completamente del lavoro che sta dietro questa vittoria. Se vogliamo dare veramente i numeri, questo è lo scudetto numero 2 di una nuova era, di una nuova Juventus che ha avuto la forza e la capacità di ricostruirsi da zero.