(Modena)— Aspettavano il fischio d’inizio, è arrivato un vento senza fine. Dovevano ospitare i pulcini del Camposanto, hanno scoperto che certi avversari sono peggio di quel nome e devi giocartela alla morte, anche se hai solo dieci anni: «Avevamo appena messo le scarpette —racconta il presidente, Riccardo Martinelli —e qualcuno s’è girato verso i campi. C’era una cosa, laggiù. Un folletto. S’avvicinava nel cielo nero. E cresceva. Si gonfiava. Diventava enorme». La prima a capire è stata una mamma. Un urlo: «Tutti nello spogliatoio!». Quando il mostruoso folletto ha invaso il campo di calcio dell’Asd Sanmartinese— le maglie gialloblù a vorticare nel cielo con le tribune e i frigo delle bibite, il pullmino della società crivellato peggio che a un check point, addio memoria del campetto che a settembre accolse Crespo e Lucarelli per una partita di beneficenza — tutt’e 14 i pulcini della squadra si sono precipitati sotto le panche: «Li abbiamo fatti sdraiare con la testa fra le mani. Il panico era completo. Piangevano, gridavano “mamma, aiuto!”… Due container giganteschi sono piovuti a dieci metri da noi. Per un attimo, mi sono chiesto se avevo fatto la cosa giusta: io avevo trascinato i bambini nello spogliatoio, perché s’è sempre rivelato il posto più sicuro, a ogni scossa ci portavamo anche i disabili. Ma chi lo sa se l’istinto aiuta, in certi momenti? Se ci restavamo sotto, altro che eroe, a quest’ora ero il cretino del paese…». Non c’è schema, in partite così. E non basta allenarsi un anno allo sciame sismico, alle zone rosse, alla vita sfollata. Venerdì pomeriggio, sotto la tromba d’aria («mai vista in cent’anni») che in un’ora ha spazzato le campagne del terremoto 2012 e spezzato le reni di chi si stava rialzando, tutti quanti si sono fatti pulcini. Spauriti. Esausti. Danni per milioni di euro, decine di sfollati. «Qui ci vuole lo sciamano! », l’ex assessore Anna Greco unisce le mani in una preghiera al cielo: 13 feriti, un centinaio di senza casa, frutteti distrutti. E ieri mattina, una scossa come non se ne sentivano damesi. «Stiamo vivendo un altro terremoto», è sconsolato Maino Benatti, il sindaco di Mirandola, e non ci vuole Pico per ricordare che il tornado e la terra tremante di San Martino sono come la neve sui terremotati dell’Umbria. O come la cricca che s’abbatté sull’Aquila. La sfiga che ci vede benissimo e, se si distrae, torna a completare l’opera: «Questa tromba d’aria ci ha distrutto il tetto, l’auto, la vigna—è senza speranza Françoise Boissard, che da Losanna venne a sposare un emiliano —. E pensare che l’anno scorso eravamo stati risparmiati: si vede che, lassù, a qualcuno non piaceva… ». «Il tornado m’ha distrutto il capannone e il camion — spiega Paolo Poletti, 50 anni —, è andato dall’altra parte del paese a scoperchiare la mia casa nuova. Si vede che cercava proprio me…». Dura da accettare: Dio s’è dimenticato di Mirandola? «Non c’è risposta», scuote la testa il parroco, don William Ballerini: nel 2012 era venuto giù il tetto della chiesa, ora è andato distrutto anche il tendone dove celebrava messa. «Questa domenica mattina, radunerò i fedeli sulla piazza del paese. Dopo non lo so, dove andrò. È venuto il vescovo a dirmi di tener duro. Io ci provo, ma ho 73 anni e l’ultimo è stato terribile. Non ce la faccio più». Sulla via delle Valli, testimonial della jella che si moltiplica, s’aggira il professor Doriano Castaldini, universitario di geologia: scampato alle scosse 2009, sfollato l’anno scorso, venuto a vedere che ne è dei fratelli che ancora vivono qui. «C’è chi crede che i disastri si possano prevedere? — la prende con umorismo—: io sono la dimostrazione vivente che non è così». Poi, serio: «Non c’è alcun collegamento fra un tornado e un terremoto. Non sono prevedibili: chi dice il contrario, deve dirmi dove, quando e quanto». Una locandina dell’Università di Modena anticipa un profetico convegno, metà maggio, sulla sentenza dell’Aquila che condannò i geologi. E un passaparola, sulle strade emiliane, manda a Novi e al farmacista del paese, Giovanni Cesari. È un sismologo per passione, Cesari. E il suo attrezzatissimo osservatorio è ancora lesionato. Ma l’anno scorso, e pochi giorni fa, lui l’aveva detto: il sisma non è finito, anzi… E l’anniversario del 20 maggio non lo lascia tranquillo: «La tromba d’aria, chiaro, è un episodio a parte. Ma l’emergenza è un’altra: la radioattività aumentata, con la temperatura delle falde e il gas radon. Io non sono uno che fa allarmismo. Però non mi piace arrendermi. I segnali della terra non si possono prevedere: basta vederli».