Come presidente della Convenzione per le riforme dobbiamo trovare una figura in grado di dare garanzie a tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento e temo che Berlusconi non sia tra queste». Appena insediato come viceministro dell’Economia Stefano Fassina, uno dei giovani turchi del Pd a suo tempo contrari a qualsiasi accordo con il Pdl, entra a gamba tesa nel dibattito su chi debba (o possa) guidare l’organismo suggerito dai saggi incaricati dal presidente Napolitano di scrivere una agenda sugli interventi di revisione istituzionale. Parole pesanti, le sue, che rischiano di creare ulteriore tensione dopo quella (appena sopita) sull’Imu che ha opposto Pdl a Pd. Parole che risentono di uno stato d’animo abbastanza diffuso all’interno del Pd, dato che fanno seguito ad analoghe affermazioni di Renzi («È inaudito fare Berlusconi capo della Costituente ») e di Violante (è meglio che non siano dello stesso partito il ministro per le riforme e chi guida la Convenzione). Ma dal Pdl le reazioni inclinano alla moderazione: non accettiamo pregiudiziali né veti e non torneremo indietro. Lo dicono in molti (Gasparri, Matteoli, Saltamartini) mentre Cicchitto coglie, nelle dichiarazioni di chi non vuole Berlusconi al vertice della Convenzione, «un senso vagamente provocatorio, alla ricerca di facile popolarità e il tentativo di farsi perdonare per avere fatto il governo con noi». In ogni caso, sulla scia delle affermazioni di Fassina, il sindaco di Firenze si infila, di nuovo, con un crescendo rossiniano, in una polemica che prende spunto (o pretesto) da chi potrebbe essere il regista della fase costituente per andare a parare su chi, in questo momento, guida da neppure una settimana l’esecutivo. Renzi, parlando a Dogliani a un convegno su tv e nuovi media, attacca certo Berlusconi («Va mandato in pensione non in galera, basta con l’ossessione dell’antiberlusconismo, la prossima volta dobbiamo vincere le elezioni e non smacchiare il giaguaro»), ma soprattutto la vecchia guardia del Pd. «A Grillo vorrei rubare l’idea che siamo in grado di fare le cose. Invece il Pd si è rassegnato. Obama dice “Yes, we can”, noi invece “Non possiamo” ». Prende poi di mira il presidente del Consiglio per il modo con il quale è stato scelto e posto alla guida del governo. «Io avrei voluto l’incarico di premier, ma passando dalle primarie. Ho perso le primarie, quindi, non avrei voluto una scorciatoia», argomenta il sindaco-rottamatore che esclude «di candidarsi a segretario del Pd in questo giro». E a chi gli domanda se Letta abbia avuto un percorso facilitato per arrivare a Palazzo Chigi replica serafico: «Questo è oggettivo. È nelle cose e lo riconosce lo stesso premier». Non solo. Renzi ricorda le fasi che hanno preceduto l’indicazione del capo del governo e rivela che «mentre si sceglieva il premier, sono stato contattato dal Pdl, non da Berlusconi ma da Alfano, che mi ha spiegato che loro preferivano Amato e Letta». E poi, a ricordare chi sia il vero dominus dell’esecutivo, distilla questa frase: «Se Berlusconi non vuole che si tocchi il conflitto di interesse, il governo Letta non lo toccherà». Insomma, nonostante Renzi abbia detto tutto questo dell’inquilino di Palazzo Chigi, «Letta è un amico e agli amici si deve lealtà. E la lealtà è il valore più grande. Sono stato leale con Bersani in campagna elettorale e lo sarò con Letta, come presidente del Consiglio ». Enrico, celia il sindaco di Firenze (nato in un centro alle porte del capoluogo), «ha grande equilibrio e uno straordinario europeismo ma un difetto ce l’ha: è pisano».