Alle 15.30, il capogruppo al Senato dei 5 Stelle Vito Crimi arriva al Teatro Eliseo di Roma, ospite inconsueto (e un po’ imbarazzato) di un raduno di sinistra organizzato da Left in onore di Stefano Rodotà. Qui lo intercettiamo per chiedergli conto delle parole di Paolo Becchi. Che, prima di parlare di fucili e rivolta armata, aveva detto: l’attentato di Palazzo Chigi ha «favorito» il governo Letta. Crimi non si scompone né si dissocia: «Mi pare normale che lo dica, non lo trovo scandaloso. Accade sempre così con attentati e stragi, che ci sia una reazione che consolidi il potere. Guardiamo al ’92 e all’elezione di Scalfaro». Ma dire questo non significa essere a un passo dal parlare di «stragi di Stato» e «strategia della tensione», come negli anni 70? «Eh, la strategia della tensione c’è e c’è stata». C’è o c’è stata? «Boh, chi lo sa? Non sappiamo se l’attentato di Preiti è stato l’atto di un singolo oppure no». Passa qualche ora e Paolo Becchi, docente universitario a lungo considerato «ideologo del movimento», alza il tiro. I parlamentari 5 Stelle ne prendono le distanze. Alle 19.10 arriva un tweet di Beppe Grillo, laconico e lapidario: «Becchi non rappresenta il movimento». Pochi minuti dopo Crimi prende le distanze. Finale di partita, si fa per dire, con Becchi che dice: «Stavo scherzando. Mi dispiace aver danneggiato il Movimento, tolgo il disturbo». E dire che solo un paio di giorni fa, Claudio Messora, responsabile comunicazione al Senato per i 5 Stelle, aveva citato un post di Becchi sul blog di Grillo, commentando: «Torna in auge la vecchia cara frase “clima d’odio”. E chi ci casca più?». Sarà, ma Becchi in giornata cade in un crescendo di dichiarazioni che prima allarmano e poi indignano molti, fuori e dentro i 5 Stelle. Dice che gli spari di Palazzo Chigi «hanno rafforzato il governo» e avanza il sospetto che, dietro l’azione di Preiti e altre «provocazioni» ci sia «un potere invisibile». Poi spiega alla «Zanzara»: «Se qualcuno tra qualche mese prende i fucili, non lamentiamoci, abbiamo messo un altro banchiere all’Economia, Saccomanni». In un inciso dice «sto scherzando ». Ma lo «scherzo» va avanti. E se ai 5 Stelle venissero negate la presidenze Copasir e Vigilanza? «Sarebbe un golpettino, non è una follia pensare che uno possa prendere le armi». E ancora, citando Mao: «Le rivoluzioni non sono pranzi di gala». Ce n’è abbastanza per provocare una mezza rivolta bipartisan. Dal Pdl attaccano Fabrizio Cicchitto e Renato Brunetta, dal Pd Roberto Speranza e Emanuele Fiano. L’M5S non tace. Il primo a prendere le distanze è il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio: «Siamo pacifici e contro la violenza. Becchi non parla a nome nostro. Noi non lo abbiamo mai visto». Vero, anche se la sua presenza sul blog di Grillo è continua. Crimi, su Fb, lo disconosce totalmente: «È un semplice simpatizzante che non è in relazione alcuna né con il Movimento né con chi ha gettato le basi per farlo nascere, né ha relazione alcuna, ufficiale o ufficiosa, con gli attivisti, eletti e portavoce». Quanto all’attentato, «l’M5S ha già espresso la sua ferma condanna e il cordoglio». Segue una nota dei gruppi parlamentari che «prendono nettamente le distanze» da Becchi. Il quale, in serata, dice di non essersi mai considerato «l’ideologo» del Movimento, ma di parlare «a titolo personale». Quanto ai fuci li, «stavo scherzando»: «Sono caduto nella trappola e sono stato strumentalizzato. Non istigo certo alla violenza». Caso chiuso, forse. Ma resta il problema per il Movimento di modulare gli istinti rivoluzionari con i toni. Non a caso il deputato Andrea Colletti, durante l’assemblea M5S di martedì, è stato processato per aver detto in Aula: «Questo sembra il governo della trattativa Stato-mafia». Le parole pesano. Le contestano anche alla presidente della Camera Laura Boldrini, secondo cui «l’emergenza fa sì che la vittima diventi carnefice ». Contro di lei, si schierano Maurizio Gasparri e Giorgia Meloni. Lei chiarisce: «La disperazione non giustifica la violenza ». I 5 Stelle hanno altri problemi. Perché, dopo l’attacco hacker che ha visto coinvolta la deputata Giulia Sarti, ieri sul server Anonymous Paranoia sono stati pubblicati i file zip di tre deputati e un attivista: Stefano Vignaroli (romano), Tancredi Turco (Verona), Massimiliano Bernini (Viterbo) e Filippo Baloo. Caso scottante su cui sta già indagando la magistratura ma su cui, con discrezione, sono state attivate indagini parallele, per appurare se l’hackeraggio arriva davvero dall’esterno (la prima autodefinizione era di «hacker del Pd») o dall’interno stesso del Movimento.