Il premier propone «forme di reddito minimo per le famiglie bisognose con figli piccoli, incentivi con part time misti e con la staffetta per la parallela assunzione dei giovani». Non è il reddito di cittadinanza sostenuto a gran voce dai grillini (costerebbe 18 miliardi di euro l’anno) ma nelle parole di Enrico Letta c’è tutta la volontà di ridisegnare il welfare seguendo lo schema del modello sociale europeo. Anche nella relazione finale dei saggi nominati dal capo dello Stato c’è un capitolo in cui si chiede «la revisione dell’assistenza e l’eventuale introduzione di un reddito minimo di inserimento». Letta va oltre e, anche se in modo sintetico, ripercorre un suo vecchio cavallo di battaglia già esposto in un numero monografico della newsletter del novembre 2008 di Arel (Centro studi fondato da Beniamino Andreatta e presieduto dallo stesso premier) e rilanciato nel 2010 in un volume del Mulino con 34 «riforme cacciavite» per creare un nuovo welfare «più solidale e universalistico». Nell’editoriale al dossier Arel Letta scriveva che «l’Italia ha avviato solo in parte modelli avanzati per potenziare il welfare al contrario di altri Paesi in Europa». In effetti il nostro Paese, al netto delle pensioni che sono più generose, spende per l’assistenza, la disoccupazione e le case popolari solo l’8% del Pil rispetto al 18% della Francia e il 20% della Germania. I margini di manovra dunque esistono. Nell’entourage del neopresidente del Consiglio si precisa che le sue parole «non vanno enfatizzate, voleva solo ricordare l’esigenza di rimodellare il welfare complessivo ma è un dossier aperto, tutto da costruire senza pregiudizi e nel rispetto delle risorse possibili ». Carlo Dell’Aringa, eletto per il Pd e uno degli esperti mobilitati da Letta per il volume del Mulino insieme a Tiziano Treu, spiega come «sia giusto lanciare un messaggio del genere in un momento di crisi e di povertà crescente ». Secondo il professore si può avanzare una stima di spesa di 10 miliardi di euro l’anno per rendere universali i sussidi di disoccupazione «ma è un calcolo del tutto ipotetico che va integrato con le attuali norme di sussidio». Inoltre, spiega Dell’Aringa, la mancanza finora di proposte organiche si spiega «con la necessità di dotarsi di strumenti amministrativi per misurare la povertà e i veri bisognosi». In altre parole l’enorme livello di evasione fiscale favorirebbe l’opportunismo e l’abuso aumentando in modo insopportabile il senso di ingiustizia sociale. Diverso il caso delle misure per i giovani con l’introduzione della staffetta: fuori i padri (magari anche con forme di part time) in cambio dell’ingresso dei figli. Una proposta del genere, del resto, figura già nell’accordo tra le parti sociali sulla produttività firmato nello scorso dicembre e in una recente proposta di legge. La presentarono Tiziano Treu e Pietro Ichino per incentivare il ricambio generazionale in azienda.