Lunedì 17 giugno era il giorno cerchiato di rosso. Era quella la data di pagamento dell’Imu, l’imposta sugli immobili che ha scalato la classifica della tasse più odiate dagli italiani. Se il governo Letta congelerà, come annunciato, la tassa sulla prima casa, la posta in palio sarà di circa due miliardi di euro. L’intero gettito dell’Imu lo scorso anno è stato pari a 23,1 miliardi, quello della prima casa ha raggiunto quota quattro miliardi. La metà di questi verrebbe meno. Per la verità lo scorso anno chi doveva pagare il tributo solo per la prima abitazione poteva spezzare in tre la rata (giugno, settembre e dicembre). Va precisato che, al momento, il riferimento del nuovo premier è stato fatto per un rinvio, un congelamento della tassa sulla prima casa senza specificare se poi si arriverà a un’abolizione solo per questo tipo di abitazione (ipotesi probabile) o dell’Imu a tutto tondo (altamente improbabile, visto le cifre in ballo). Ma quanto vale questo rinvio per le tasche degli italiani? Nel 2012 la rata media nazionale per la prima casa è stata di 255 euro, ma come tutte le medie rientra nella logica del famoso pollo di Trilussa. È evidente che i proprietari di un castello a Portofino hanno pagato molto di più di chi possiede un bilocale in periferia. Lo stop di giugno però avrà un effetto ancora più forte se si considera che i Comuni avevano tempo fino al 16 maggio per aumentare le aliquote (attualmente si va da unminimo di 0,2 a un massimo di 0,6 per cento) ed erano migliaia i Comuni che a dicembre non erano riusciti a deliberare l’aumento per ritardi burocratici. Per il 16 di maggio invece era prevista una valanga di ritocchi verso l’alto perché nessun Comune voleva farsi sfuggire l’opportunità di far cassa. Il blocco servirà a fermare anche gli aumenti. A qualcuno però è venuto un dubbio, non sarà che i Comuni, per dar respiro ai conti privati dall’Imu prima casa, pensino ad aumentare l’aliquota per la seconda? In realtà le principali città (Milano, Roma, Firenze) sono già almassimo e in generale chi ha toccato quota 10,6 per cento non può più alzarla. Dal punto di vista pratico è indubbio che il governo dovrà varare un decreto legge urgente, anche se (e non a caso) è notizia di ieri che slitta dal 30 aprile al 16 maggio il termine per i contribuenti che presentano il modello 730/2013 attraverso i propri datori di lavoro o enti previdenziali. Altra decisione «forte» è quella del rinvio dell’aumento Iva: a luglio era previsto il passaggio dal 21 al 22% con parere fortemente negativo di Confcommercio e altre associazioni di categoria. Un aumento che avrebbe fruttato allo Stato circa 2 miliardi di euro per i successivi sei mesi del 2013 ma che probabilmente avrebbe generato almeno due decimi di inflazione e una contrazione dei consumi in un mercato interno già asfittico. Non si tratta di una rivoluzione ma commercianti e imprese lo invocavano come l’ossigeno.