TORINO. In fondo è tutto molto semplice. «Juventus vuol dire vincere», spiega Andrea Agnelli a Simon Kuper , scrittore e giornalista del Financial Times , che lo ha intervistato nelle scorse settimane e, ieri, ha anticipato lunghi stralci del suo servizio sul sito del quotidiano finanziario londinese. «Vincere, mi risponde Agnelli. E da uno scaffale del suo ufficio sfila un disegno di un bambino. Sotto il titolo “Juventus sei una regina”, si vede un rigore che entra in rete. Lo ha disegnato Andrea
AGNELLI «La sento una creatura mia, ma è una bella donna che tutti vorrebbero»
a nove anni, nel 1985, dopo il rigore di Platini che sconfisse il Liverpool nella finale di Coppa Campioni allo stadio Heysel… Agnelli si scusa: era un bambino e non capì il contesto, quello che la sua mente registrò quella notte fu la vittoria», scrive Kuper raccontando il suo incontro con il presidente della Juventus in «un ufficio sorpendentemente modesto».
L’AFFONDO Si parla di calcio – essendone Kuper un appassionato e un esperto -, ma – trattandosi del Financial Times – si parla sopratutto di economia applicata al calcio. E l’Italia pallonara ne esce con le ossa rotte. Spiega Agnelli: «Gli stadi sono mezzi vuoti, c’è la violenza… Voglio dire, non è esattamente il miglior prodotto da esportare. Tant’è che la Premier guadagna 2 miliardi di euro dai diritti televisivi, più o meno metà dal mercato interno e l’altra metà da quello straniero, mentre i club italiani incassano 1 miliardo del quale il 90% arriva dalla stessa Italia. Negli stadi della Premier si leggono cartelloni pubblicitari in cinese: per carità, anche noi abbiamo accesso alle multinazionali, ma ai loro budget locali, mentre vogliamo riuscire a parlare con le loro sedi principali…». Insomma, uno scenario che lascia l’Italia indietro nelle classifiche dei guadagni, quelle che sempre più spesso coincidono con le graduatorie sportive, soprattutto in Champions League. I soldi determinano l’aspetto tecnico: «Piuttosto che essere la destinazione finale dei campioni internazionali (nel testo originale c’è il famigerato
termine “top player”, ndr ), siamo diventati una lega di transito», aggiunge Agnelli, dopo che Kuper ha ricordato come negli Anni 90 in Inghilterra si dicesse: «Quando un appassionato di calcio muore, va in Italia a seguire la Serie A, considerata il paradiso del football».
IL MODELLO E a questo punto, Agnelli, lancia la stilettata contro il movimento pallonaro del nostro Paese. Domanda Kuper: «Un tempo suo padre disse che la Juventus si era sviluppata insieme alla nazione italiana, ora si può dire che la nazione sta trascinando verso il basso il club?». Risponde secco Agnelli: «E’ corretto». D’altra parte, il modello di Andrea suona così: «Dagli inglesi prenderei gli stadi e le loro capacità commerciali, dagli spagnoli la possibilità di vendere i diritti tv soggettivamente (anche se è in arrivo una legge che obbligherà presto la Liga a vendere collettivamente) e dai tedeschi gli sponsor aziendali». Un programma che lui stesso definisce «inattuabile» in Italia, almeno per il momento. Anche se la Juventus va controcorrente e lo stesso Kuper la definisce come la Ferrari o Gucci: «Un pizzico di eccellenza in un Paese in decadenza».
L’INNOCENZA «Il nostro marchio si è rinforzato grazie alla nostra tremenda rinascita dai momenti difficili», nota Agnelli che trova anche il modo di precisare alcuni punti su Calciopoli, che all’estero vive ancora di luoghi comuni smentiti dai fatti scoperti successivamente al 2006. A Kuper che parla di «matchfixing», ovvero di partite truccate, Agnelli ribatte:
«Non fu matchfixing, la Juventus è stata riconosciuta colpevole di comportamento anti-sportivo, non di frode sportiva», con preciso riferimento alla “somma di articoli 1 per fare un articolo 6” e al fatto che a Napoli la Juventus è stata riconosciuta innocente (e i campionati «non condizionati»). «Ma Moggi chiamava i designatori!», ci prova Kuper. «Moggi e molti altri, come si è scoperto dopo», replica Agnelli. E successivamente lo stesso Moggi via Twitter ha rincarato la dose: «Anche gli altri parlavano con… gli arbitri! Farlo con i designatori era lecito». Ed è proprio per le difficoltà a riprendersi dopo i fatti del 2006 che, svela Agnelli, «abbiamo deciso che un membro della famiglia si prendesse carico della Juventus». Un “bene” della famiglia Agnelli da novanta anni, «il che fa di noi la più antica proprietà del mondo in qualsiasi sport».
IL RICORDO Novant’anni e non sentirli, visto che Agnelli parla così della Vecchia Signora: «E’ stata definita sempre la fidanzata d’Italia ed è probabilmente la donna con cui chiunque vorrebbe stare». Una donna di cui Andrea si è sempre considerato un «osservatore privilegiato» fino al momento in cui ne è diventato presidente: «Questa squadra ora la sento come una mia creatura». E sogna di riportarla ai fasti del 1996, quando Vialli gli raccontò dell’ingresso in campo delle squadre nella finale di Champions, a Roma: «Guardavo negli occhi gli avversari e capivo che stavano pensando: perché giochiamo questa partita se l’abbiamo già persa?». In fondo è tutto molto semplice: «Juventus vuol dire vincere».