Un’ecatombe. O, per dirla con il pdl Maurizio Gasparri, «un tracollo oltre le previsioni». Ecco come si è risolta la quarta, agognata (dal centrosinistra) votazione con la quale ilPdcontava di eleggere Romano Prodi alla presidenza della Repubblica. Confidando nell’abbassa – mento del quorum richiesto dalla Costituzione: non più i due terzi del collegio dei grandi elettori – 672 voti – ma la maggioranza assoluta, ovvero 504 voti. Invece la candidatura di Prodi è stata seppellita sotto una valanga di franchi tiratori: 101. Tanti sono stati i voti mancanti al Professore rispetto ai consensi di cui sulla carta godeva l’intera coalizione di centrosinistra nel collegio elettorale. Prodi si è fermato, infatti, a 395 voti. Vale la pena ricordare, per capire l’entità dello smottamento che sta colpendo il partito di Pier Luigi Bersani, che il blocco Pd più Sel più altre sigle progressiste conta nel Parlamento in seduta comune 496 voti. Un’ottima base di partenza, per il quartier generale democratico, per l’ele – zione di Prodi al quarto scrutinio. A Largo del Nazareno, infatti, erano certi di poter raccogliere quegli otto voti mancati sia tra i parlamentari del Movimento 5 Stelle, che del resto aveva inserito il nome dell’ex premier dell’Unione tra i candidati alle “quirinarie”, sia tra i cattolici di Scelta civica. UN PARTITO IN PEZZI Invece è accaduto l’impensabile: la nuova, rovinosa implosione del Pd. Perché Prodi non solo non ha raggiunto i 504 voti per l’elezione, ma è rimasto abbondantemente al disotto della soglia dei 450 voti. Grazie ai quali, in caso di possibile convergenza sul suo nome da parte dei montiani nel quinto scrutinio, sarebbe potuto comunque salire al Colle. Obiettivo tramontato sotto la valanga dei franchi tiratori. Tutti di origine democratica, visto che i 46 voti di Sel al Professore sono arrivati con le schede con scritto “R. Prodi”. I ribelli hanno dirottato i loro consensi principalmente su Stefano Rodotà, ufficialmente candidato solo dai grillini. Dopo la decisione dei delegati di Nichi Vendola di dirottare i propri voti su Prodi, l’ex Garante della privacy era accreditato di 162 consensi. Invece ieri pomeriggio Rodotà ne ha incassati 213. Ben 51 in più.Guarda caso il numero dei renziani in Parlamento. E senza, va sottolineato ancora, il sostegno di Sel, che nelleprime tre votazioni aveva appoggiato l’ex deputato del Pds. Poi ci sono i voti raccolti da Annamaria Cancellieri. Ai nastri di partenza della quarta votazione, il ministro dell’Interno poteva contare solo sull’appoggio di Scelta civica: 69 grandi elettori. Invece l’ex prefetto ha ricevuto 78 voti: quindi nove in più. Il resto dei franchi tiratori ha preferito disperdere il proprio voto. In primis su altri candidati: quindici voti sono andati a Massimo D’Alema; tre a Franco Marini; due a Giorgio Napolitano; cinque ad altri nomi, tra i quali spicca quello per Maurizio Migliavacca, il braccio destro di Bersani. Significativo anche il numero delle schede bianche, quindici, e di quelle nulle, quattro. Due delle quali volutamente provocatorie nei confronti del Professore, visto che sulle schede c’era scritto «Massimo Prodi» e «Vittorio Prodi», il fratello. A proposito di Marini. Giubilato da Bersani dopo aver raggiunto 521 voti nel primo scrutinio, se fosse rimasto in pista e avesse conservato il suo bottino, ieri sarebbestato eletto presidente.Con 17voti di margine. IL CAMPANELLO D’ALLARME Che qualcosa non girasse per il verso giusto, qualcuno l’aveva capito già nel corso del terzo voto, l’ultimo nel quale era richiesta la maggioranza dei due terzi per succedere a Giorgio Napolitano. Perché anche in mattinata il Pd era andato in ordine sparso. L’indicazione del partito, in attesa di lanciare la candidatura di Prodi nello scrutinio successivo, era di votare scheda bianca. Invece D’Alema aveva ottenuto 34 voti, Napolitano 12, Marini sei e Chiamparino quattro. Viceversa Rodotà, in quel momento sostenuto da Sel e M5S, aveva toccato quota 250 voti. Quindiben 42 in più rispetto alla somma dei grandi elettori vendoliani e grillini. Non certo un segnale di compattezza in vista del lancio della candidatura di Prodi, pure accolta da una standing ovation nell’assemblea dei parlamentari democratici. Così nel corso dello scrutinio decisivo sono iniziati ad affiorare i primi dubbi tra i grandi elettori del Pd. Spiazzati, oltre che dalla mancanza di tempo per tessere la tela con il M5S, anche dalla decisione del centrodestra di non partecipare al voto. Mossa destinata a mettere con le spalle al muro Scelta civica e grillini. Perché, abbassando il numero dei partecipanti alla votazione, riduce il margine di manovra dei possibili voti segreti in aiuto di Prodi. A quel punto, infatti, senza Pdl e Lega sarebbe stato facile individuare da dove sarebbero arrivati i soccorsi per il Professore. Eventualità che nessun «traditore », a quel punto esclusivamente grillino o montiano, avrebbe gradito. Così Prodi ci ha rimesso le penne.