L’incognita, tanto per cambiare, è la capacità di Pier Luigi Bersani di evitare la definitiva balcanizzazione del Pd. Emblematica la sorte toccata ieri a Franco Marini. L’ex leader della Cisl voleva tenere duro. «Ho preso 521 voti, quanti ne bastano per vincere alla quarta votazione. Tu mi hai messo in questa situazione e adesso devi difendermi. Ho diritto alla quarta votazione», aveva detto Marini, dopo il primo scrutinio, a un Bersani indeciso a tutto. Ragionamento impeccabile, ma non è servito: Bersaninon controlla il partito ed è stato costretto a rottamare il candidato su cui aveva messo la propria faccia, annunciando l’av – vio di una «fase nuova» che non sa dove porterà, ma solo che passerà da un’assemblea dei grandi elettori del Pd, una sorta di primarie da cui dovrebbe emergere il candidato del partito per il Quirinale. Al confronto, il centrodestra appare comeun monumento alla compattezza e alla coerenza. «Assieme alla Lega e a Scelta civica», fa di conto un parlamentare berlusconiano, dovremmo riuscire a far convergere 320 voti su un candidato analogo a Marini.Domanda: il Pd, che in tutto ne ha 430, riesce almeno a portargliene 185? Se ce la fa, riusciamo ad eleggere il presidente insieme». Ma i grandi elettori del Pd sono succubi della piazza – composta da pochi elementi, ma messi in risalto da Repubblica e altri media – pronta a linciarli in caso di accordo il Pdl, qualunque sia il nome condiviso (Marini, per dire, è uno dei fondatori del Pd). Così Berlusconi, condannato dai numeri a giocare di rimessa, è costretto a elaborare strategie alternative. L’obiettivo del Cavaliere non è far arrivare Marini o D’Alema al Quirinale, ma impedire che ci arrivi Romano Prodi o Stefano Rodotà, o il Gustavo Zagrebelsky di turno. Così, se il Pd dovesse puntare su un candidato diverso da questi ultimi, il Pdl ci penserebbe bene prima di rispondere «no». E altrettanto farebbe la Lega. Non è un mistero che Berlusconi metterebbe la firma su Massimo D’Ale – ma o Luciano Violante. E di sicuro è disposto a trattare su un nome comequello diAnnaFinocchiaro. Ma, tra questi e gli altri esponenti dell’oligarchia, l’unico in grado di tenere più o meno compatto il Pd è il primo; gli altri promettono di spaccarlo ulteriormente. D’Ale – ma potrebbe così essere chiamato a giocarsi la partita della vita, con il sostegno del centrodestra. In alternativa, a Bersani e al Pd restano due strade. La prima è la resa conclamata ai diktat di Beppe Grillo, che poisonogli stessi diNichi Vendola e della sinistra pd: fare emergere vincitore del voto in assemblea proprio Prodi o Rodotà (con il primo di gran lunga favorito). In questo modo presterebbe il fianco a molti franchi tiratori, primi tra tutti quei popolari umiliati dal modo in cui Marini è stato mandatoal massacro.Macentrosinistra e grillini, insieme, contano 658voti: per eleggere il successore di Giorgio Napolitano ne bastano 504, quindi i margini danno una buona sicurezza. In questo caso il centrodestra non avrebbe risposte efficaci. Punterebbe su un candidato di bandiera o sul nome di un moderato di prestigio. Ieri sera giravano praticamente tutti, da quelli dei ministri Anna Maria Cancellieri e Paola Severino a quello – impro – babilissimo – del presidente della Bce, Mario Draghi. Una suggestione porta persino alla radicale Emma Bonino, arrivata prima di Prodi alle “Quirinarie”dei grillini e quindi – almeno in teoria – in grado di ottenere i loro voti. Le probabilità di riuscita sarebbero comunque bassissime. L’ultima strada a disposizione di Bersani, che al momento appare la meno probabile, è la resa parziale e mascherata: cavare fuori dal cilindro un nome “nuovo” o che possa passare come tale, capace di ricomporre la divisione con i renziani e le altre anime del Pd. Un personaggio che strizzi l’occhio alla società civile e non appaia come uno schiaffo al centrodestra: se questo lo accetta, bene, altrimenti pazienza. È un percorso che può portare a candidare Sergio Chiamparino, il quale, fanno notare nel Pd, già ieri «ha ottenuto più del doppio dei voti tra il primo ed il secondo scrutinio », attestandosi a quota 90. O l’oncologo Umberto Veronesi, accreditato dai rumors di essere l’as – so nella manica di Bersani.Oppure a rispolverare il «metodo Grasso », magari proponendo per il Colle lo stesso presidente del Senato. Candidature che Berlusconi potrebbe condividere solo per tagliare la strada a Prodi o Rodotà. Bersani e il suo partito sono comunque in alto mare. Al puntoda aver chiesto uno slittamento della quarta votazione – quella potenzialmente decisiva, in cui basterà la maggioranza semplice – a domani, in modo da avere tempo oggi per trovare una via d’uscita dal pantano. Il Pdl è contrario: ha capito che dall’assemblea dei democratici rischiano di uscire brutte notizie per il centrodestra.