L’ennesimo rinvio sul caso marò. La Corte Suprema indiana si è riunita, ha dibattuto il caso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone per un’ora, poi ha aggiornato il tutto a lunedì prossimo, 22 aprile. L’Italia aveva presentato il 5 aprile una memoria in cui si era formalmente opposta alla decisione dell’Agenzia nazionale di investigazione (Nia, come dire l’agenzia antiterrorismo) di registrare una denuncia preliminare nei confronti dei marò: procedura che reintroduce il rischio della pena di morte. La Procura ha invece insistito, e il tono del dibattimento ha assunto caratteri accesi. Secondo quanto ha spiegato il procuratore generale Goolam Essaji Vahanvati Vahanvati, il governo avrebbe affidato il caso alla Nia non per mandare i due fanti di marina al patibolo, ma semplicemente perché l’Ufficio centrale di indagine (Cbi) è oberato di lavoro. Qui è intervenuto a nome dell’Ita – lia l’avvocato Mukul Rohatgi, spiegando che – in base alla sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio – le nuove indagini sull’incidente in cui morirono due pescatori indiani dovrebbero svolgersi sulla base del Codice penale e di procedura penale indiani, della Legge marittima e della Convenzione dell’Onu sulla navigazione (Unclos). A suo parere, la Nia potrebbe invece operare solo prendendo in considerazione il Sua Act – cioè quel Suppression of Unlawful Acts per la sicurezza marittima che prevede appunto la pena di morte. Ha quindi suggerito in alternativa l’utilizzo della polizia criminale Cbi o una sentenza della Corte che esplicitamente proibisca alla Nia di avvalersi del “Sua Act”. «Il Nia non può indagare. Specialmente dal momento che l’India ha dato assicurazioni su questo al governo italiano », riferimento agli impegni espliciti che il governo indiano ha dato sul fatto che i due non sarannocondannati a morte.Eancora: «L’utilizzazione della polizia antiterrorismo è in violazione delle sentenze della Corte Suprema». La risposta di Vahanvati è che, dopo che il governo ha istituito un tribunale speciale per processare Latorre e Girone, il Nia sarebbe in grado di completare le indagini in 60 giorni. Insomma, ha spiegato, si potrebbe così finalmente velocizzare un caso la cui lentezza è stata finora esasperante: a 14 mesi dall’arresto, i due militari italiani non sanno ancora in che modo sarà esaminato l’incidente al largo delle coste del Kerala che li vede coinvolti, in cui persero la vita due pescatori indiani. In una sentenza del 18 gennaio scorso del giudice Altamas Kabir, presidente della stessa Corte, si era infine stabilita l’assenza di giurisdizione da parte dello Stato del Kerala, e che essendovi invece quella dello Stato federale si doveva creare un tribunale speciale a New Delhi, dove infatti i fucilieri del San Marco sono stati poi trasferiti. Kabir lasciava anche aperta la possibilità da parte dell’Italia di sollevare ancora una volta la questione giurisdizionale, appellandosi all’art. 100 della Convenzione sul Diritto del Mare (Unclos). Ma in tre mesi il governo indiano non era stato in grado di definire una road map che comprendesse un’inchiesta nuova e la costituzione del tribunale ad hoc. Accettare ora questa accelerazione potrebbe anche essere allettante, non fosse che il Procuratore è stato terribilmente ambiguo sulle leggi in base alle quali i due italiani sarebbero incriminati. Bisogna inoltre ricordare che gli imputati indagati dalla Nia sono generalmente sotto custodia in carcere. Accettare la “scorcia – toia” della Nia significherebbe dunque per i due marò non solo rischiare la morte, ma anche rinunciare al regime di semi-libertà dietro cauzione di cui oggi godono nella residenza dell’amba – sciatore d’Italia Daniele Mancini. Insomma, la classica polpetta avvelenata. Al termine del dibattito, Kabir sièdunque riservato di pronunciarsi sulla questione e ha fissato appunto la nuova udienza.