Sale Giuliano Amato, ma anche Romano Prodi. È il derby che si gioca in casa Pd e che mette di fronte un antico democristiano di sinistra (Prodi) e un socialista craxiano riciclatosi come tecnico e tante altre cose. Secondo il racconto a microfoni spenti di un ex ministro del centrosinistra è una questione di strade innanzitutto, poi di nomi: “Se Bersani intende giocarsi ancora l’incarico farà di tutto per inseguire Casaleggio e i grillini sulla strada di Prodi. Altrimenti con Amato sarà costretto a farsi da parte perché con un governo di larghe intese smentirebbe se stesso. Dipende da quali saranno i due blocchi di minoranza che si metteranno d’accordo, tenendo conto che Monti non ha un peso determinante”. Il quale Bersani continua a negare l’intreccio della trattativa (Quirinale e Palazzo Chigi) e a dire no al governissimo. Due le uniche cose chiare che ha in testa il segretario del Pd: “Quando dobbiamo decidere decidiamo” e “Decidiamo all’ultimo minuto”. In pratica lo stallo, a due giorni dall’apertura della seduta a Montecitorio dei grandi elettori. Uno stallo che ruota attorno ai soliti eterni candidati: i già citati Amato e Prodi, Massimo D’Alema, Luciano Violante. Con l’incognita del fatidico nome coperto, su cui si concentrano le esercitazioni degli osservatori più attenti. SE IERI NON CI FOSSE stato il pronunciamento di Casaleggio su Prodi, il candidato forte di giornata sarebbe stato Giuliano Amato, emblema della Casta con la sua superpensione da 31mila euro che però piace ai poteri forti europei e mondiali ed è il prediletto indicato dall’uscente Giorgio Napolitano. Roberto Formigoni, per esempio, lo dice chiaramente: “C’è un clima d’accordo e Amato è favorito”. L’intesa sul “Dottor Sottile” è ovviamente nella direzione del Pdl ma Silvio Berlusconi resta prudente e scarica tutto sulle divisioni cruente dei democratici: “Attendo le loro proposte”. Però poi vede in serata Matteo Renzi, il sindaco di Firenze che ha accuratamente di includere Amato nel suo anatema contro Anna Finocchiaro e Franco Marini, i due papabili del Pd decapitati nella corsa per il Quirinale. I fedelissimi berlusconiani, tipo Renato Schifani e Sandro Bondi, hanno poi ricevuto l’ordine di fare un po’ di ammuina proponendo i nomi dello stesso Cavaliere e di Gianni Letta per la presidenza della Repubblica. È la risposta, la provocazione al pantano causato dall’implosio – ne del Pd. Per la serie: con chi trattare? Prendiamo la rosa che dovrebbe essere recapitata a B. Sinora di ufficiale non c’è ancora nulla. Gli ultimi tre nomi per un patto con il diavolo berlusconiano sono il favorito Amato poi Massimo D’Alema e Luciano Violante, quest’ulti – mo lanciato dal falco del Pdl Fabrizio Cicchitto. Ma il cerchio magico di Bersani smentisce il metodo della rosa: “Chi ha detto che ci sarà, potrebbe anche essere un solo nome, che al momento non c’è. Noi vogliamo la più larga condivisione perché il capo dello Stato dura sette anni. I nomi fatti sinora sono tutti ottimi candidati ma ancora non si è deciso nulla”. Tradotto vuol dire che nel Pd la guerra tra Bersani e Renzi sta causando un generale riposizionamento che alla fine potrebbe isolare mortalmente il segretario e costringerlo a subire un accordo con Berlusconi. Di qui la leggenda o la realtà del presunto nome coperto destinato a uscire in seconda battuta, quando le urne per il Quirinale saranno già aperte. Perché una cosa sembra sempre più probabile. Salvo colpi di scena tra oggi e domani, giovedì i grandi elettori potrebbero iniziare le votazioni senza un’intesa “condivisa”. IERI BERSANI HA VISTO Monti (secondo fonti autorevoli, il premier cullerebbe ancora il sogno di fare il capo dello Stato), oggi la delegazione parlamentare dei grillini e forse domani Berlusconi (in origine l’incontro era previsto sempre per oggi ma è saltato per decisione del segretario del Pd). E senza un’intesa preventiva (il cosiddetto metodo che portò all’elezione di Francesco Cossiga al primo scrutinio) aumentano le incognite sul prescelto per il quarto turno, quando non sarà più necessaria la maggioranza qualificata dei due terzi. In teoria, un’ipotesi del genere rilancerebbe anche le chance di Romano Prodi, qualora il Pd dovesse portare avanti un suo candidato. Perdipiù Sel di Nichi Vendola applicherebbe al Professore di Bologna il metodo già sperimentato con la doppia elezione di Boldrini e Grasso alle presidenze di Camera e Senato. Al contrario, le quotazioni di Amato sarebbero fortissime se nelle prossime ore si dovesse raggiungere un accordo tra Pd, Pdl e centristi montiani. Una questione di strade, appunto. E il boccino è nelle mani incerte di Bersani, in un partito che è già esploso.