Il lavorio va avanti sotto banco. Fuori dai profili Facebook, lontano dalle telecamere, rigorosamente in diretta streaming spenta. Un pressing sotterraneo, perchè stavolta un clic ci salva la vita. E quello da digitare oggi si chiama Stefano Rodotà. L’uomo che puòdare la seconda possibilità al Movimento, quello a cui non potranno più dire no. Il weekend, per i parlamentari grillini, non è stato dei più rilassanti. Al rientro a casa hanno trovato tanta gente ad aspettarli, si. Ma non tutta di buon umore. Lo scrive Beppe Grillo in persona: “Il Paese ha bisogno di leggi e di riforme, l’economia non aspetta” . Lui dà la colpa ai partiti immobili. Ma fuori è difficile spiegare cosa stai facendo tu, che sei seduto là con loro. COSÌ, VISTI RISULTATI delle Quirinarie, ad alcuni parlamentari M5S si è accesa una lampadina: se stavolta azzecchiamo il nome, forse possiamo uscire dal pantano in cui ci siamo cacciati. Quel nome, dicevamo, è Stefano Rodotà. Ed è perfetto per tre ragioni. La prima è che metterebbe nell’angolo il Pd: come farebbero i democratici a dire no a uno che è stato parlamentare con loro? La seconda è che sarebbe lui, se vincesse, a dare un nuovo incarico per la formazione del governo: e come farebbero, i Cinque Stelle, a rifiutare il nome proposto dal presidente uscito dalle Quirinarie? “Quel presidente – ragionano nel Mo vimento – ci può chiedere qualsiasi cosa”. Anche di sostenere un esecutivo targato Pd. La terza ragione è forse la più importante: Rodotà (o al massimo, in seconda istanza, Gustavo Zagrebelsky) è l’unico che può evitare lo scenario più pericoloso: trovarsi a dover votare Prodi e spaccare il Movimento. Già, perché l’alternativa alla vittoria Rodotà/Zagrebelsky è una soltanto: che dal ballottaggio di oggi esca trionfatore Gino Strada, in pole position anche in un sondaggio “clandestino” aperto ieri su Facebook. A quel punto le cose andrebbero in maniera totalmente diversa. I Cinque Stelle in Aula voterebbero il loro candidato di bandiera fino alla terza votazione, poi, alla quarta, si troverebbero di fronte ad un nuovo caso Grasso: chi scegliere tra Prodi (se fosse questo il nome del centrosinistra) e un uomo gradito a Berlusconi? Non ci sarebbe modo, spiegano, di consultare nuovamente gli attivisti: un altro round di Quirinarie richiederebbe tempo per essere organizzato e avrebbe anche dei costi non indifferenti. Sarebbero gli eletti in Parlamento, quindi, a riunirsi e a decidere. E come è già accaduto per l’elezione del presidente del Senato, deputati e senatori ne uscirebbero a pezzi. CON L’AGGRAVANTE di dover spiegare alla base che magari, nel segreto dell’urna, Romano Prodi (“l’artefice dell’ingresso nell’euro”, come lo chiama Claudio Messora) è diventato Capo dello Stato grazie ai voti di una minoranza di grillini. Sabato, quando sono stati resi pubblici i risultati delle Quirinarie, molti eletti e attivisti sono rimasti sconcertati dai voti a Prodi e Bonino: “Sono entrati con percentuali ridicole” sostengono. Ma ci sono, e se dovessero essere riconfermati, dice il blogger/consulente Messora “non parlerò di tradimento”. Però, per ricordare cos’è il grillismo, Messora ripubblica anche un vademecum stilato un anno fa. Dice: “Un eletto del Movimento Cinque Stelle siede su una poltrona ma non conta niente e non decide niente: si limita a chiedere al Movimento qual è la sua posizione e attende. Il Movimento usa la rete, consulta le intelligenze al suo interno e formula la sua proposta. L’eletto esegue”. È per questo, per evitare di uscire con le ossa rotte dalle elezioni che cominceranno giovedì, che alcuni deputati, ieri, hanno cominciato il lavorio. Poiché gli aventi diritto al voto sono solo 48 mila (e non è nemmeno detto che tutti abbiano partecipato) si può dire che gli eletti li conoscano uno a uno. Sono quelli con cui hanno fatto riunioni fino all’altro ieri, prima che il boom li spedisse a Roma. Ai banchetti e alle riunioni, questo weekend, hanno provato a convincerli che la strada Rodotà è quella buona. Non possono farlo pubblicamente – tranne rare eccezioni come Alberto Airola, Mara Mucci e Manlio Di Stefano – perché tradirebbero il primo comandamento dei Cinque Stelle (il web è sovrano), ma sanno di avere un potere che stavolta può essere decisivo. Prima di tutto per salvare loro stessi. “Diciamo la verità -confessano – Abbiamo molta più paura degli attivisti che di Grillo e Casaleggio”.