Un saccheggio in odore di santità quello che per anni è stato messo in atto all’Idi, l’Istituto dermatologico dell’Immacolata, noto complesso ospedaliero finito al centro di un’inchiesta giudiziaria della procura di Roma. Perché mentre l’ospedale della congregazione dei Figli dell’immacolata concezione rischia di chiudere e i lavoratori salgono da mesi sui tetti per chiedere lo stipendio, il vecchio management ne svuotava le casse, arrivando a sottrarre almeno 14 milioni di euro. PER QUESTO tre persone sono state raggiunte da ordinanze di custodia cautelare. Si tratta di Padre Franco Decaminada, finito ai domiciliari, che dal 2006 al 2011 è stato consigliere delegato dell’Idi, componente degli organi di vertice della provincia italiana della congregazione. Come lui, ai domiciliari è finito Antonio Nicolella, ex Sismi, l’uomo che fa da ponte tra l’istituto del Vaticano e il Congo, al quale è stata contestata la sola bancarotta. In cella è finito invece Domenico Temperini, per lungo tempo direttore generale dell’Idi durante la gestione Decaminada, ma anche amministratore unico della Elea scrl e Elea Spa, società controllate dalla provincia italiana. Le accuse sono appropriazione indebita, bancarotta, emissioni di fatture per false operazioni. L’accusa dei pm Michele Nardi, Giuseppe Cascini e Nello Rossi è quella di aver messo a segno un sistema finalizzato a spolpare la provincia italiana e le casse degli ospedali mentre i lavoratori, 1600 dipendenti, mandavano avanti i nosocomi garantendo le prestazioni anche senza stipendio. Il comparto infatti versa in uno stato finanziario con circa 600 milioni di euro di debiti, frutto della gestione allegra di Decaminada e compagnia. E proprio per questo disastro finanziario, il frate risulta già indagato dalla procura di Roma, insieme ad altri, con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita e all’evasione tributaria. Ma non è stata la cattiva gestione dell’Idi a portarlo ai domiciliari. Bensì il fallimento Elea. Nell’ordinanza, firmata dal Gip Antonella Capri, si parla chiaramente di quel metodo finalizzato ad ingoiare denaro, tramite un duplice meccanismo. Da un lato si usava l’Idi come bancomat. Dal 2006 al giugno 2012, Decaminda “ha prelevato – scrive Capri – in contanti dalle casse dell’Idi oltre due milioni di euro senza alcuna giustificazione”. Lo stesso ha fatto anche Temperini, che nel 2011 preleva 350 mila euro. I soldi sottratti, chiarisce l’ordinanza, sono proventi delle prestazioni sanitarie che medici, infermieri erogavano ogni giorno. “Le condotte di spoliazione – scrive il Gip – delle casse dell’Idi sono tanto più gravi se si considera che i prelievi più ingenti sono stati effettuati tra il 2010 e il 2012 quando la crisi finanziaria che attanaglia ancora gli istituti (…) era ormai irreversibile”. MA C’ERA anche un secondo metodo per spolpare la provincia italiana e gli ospedali. Un sistema di società tenuto in piedi da false fatturazioni che ha portato alla sottrazione indebita di almeno 14 milioni di euro. I soldi transitavano in due società: Elea srcl ed Elea Spa attraverso fatture mendaci. Da queste poi il denaro veniva trasferito ad un’altra sigla, la Gi.esse, riconducibile a Domenico Temperini. E infine, dalla Gi.esse i soldi prendevano la strada dei conti correnti degli indagati e dei congiunti. Come i 381.500mila euro che finiscono sui conti dell’ex moglie di Temperini, Emanuela Gismondi; altri 60 mila al padre dello stesso, Lionello Temperini; altri 100mila all’attuale compagna. Decaminada invece intasca direttamente 600mila euro, mentre alla Punto Immobiliare srl, società sempre riconducibile a padre Franco Decaminada, arrivano altri 120 mila euro. Anche ad Antonio Nicolella vengono trasferiti 86 mila euro. Ma c’era che chi dei soldi, provento dell’illecito, ne faceva un investimento. Padre Franco Decaminada ha acquistato un immobile a Magliano, paesino in provincia di Grosseto, in Toscana. Si tratta di una villa di 23mila metri quadri tra prato e terreno, denominata “Ombrel – lino”, che nel 2008 viene acquistata dalla Punto immobiliare srl, società in cui Decaminada riveste la carica di legale rappresentante. IL COSTO della casa è di almeno un milione e mezzo di euro. Una parte del denaro, spiega l’ordinanza, arriva dalle casse della Gi. Esse. Un’altra parte arriva da alcune società riconducibili a Giovanni Rusciano, altro nome già finito nel registro egli indagati per il dissesto Idi. Dopo l’esplosione dell’inchiesta, Decaminada tenta di disfarsi dell’immobile, con un atto di donazione del 4 giugno dello scorso anno. Ma l’affare non va a segno e ad oggi quella villa è sequestrata dal nucleo tributario della gdf, delegata a svolgere le indagini. Intanto almeno altre 10 persone sono state denunciate, a vario titolo, per riciclaggio, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, occultamento delle scritture contabili e appropriazione indebita.