Mario Monti attacca il ministro Giulio Terzi, le sue «inconsuete » dimissioni, che in realtà nascondono «altri fini», politici per l’esattezza. Fa capire chiaramente che non vede l’ora di andarsene e di non avare più niente a che fare con tutta questa terribile vicenda. Poi spiega che i marò sono stati rispediti in India per evitare che l’Italia «fosse isolata». Il premier è in Aula, a Montecitorio, per riferire sul caso Marò. Il clima non è certo sereno, lo si capisce ancor prima di iniziare la seduta. Monti comincia a descrivere il caso, ma al centro del suo intervento c’è proprio l’ormai ex ministro degli Esteri. Prima lo ringrazia e poi lo scarica, anzi attribuisce a lui le responsabilità principali del caso. Perché, spiega, la decisione di non rimandare in India i due marò «non avrebbe dovuto essere oggetto di precipitose dichiarazioni alla stampa, che il ministro Terzi ritenne invece di rilasciare, anticipando un risultato finale che non poteva ancora darsi per scontato». E poi ci sono state quelle «inconsuete» dimissioni. Monti spiega di essere «rimasto stupefatto per ciò che ha fatto e per ciòche non ha fatto», ovvero essersi dimesso senza comunicarlo prima e, in precedenza, non essersi opposto alla linea che veniva concordata dal governo, al limite preannunciando che era pronto a lasciare l’incarico. Per il premier, l’obiettivo dell’ex ministro degli Esteri puntava in realtà «a conseguire altri risultati che nei prossimi tempi diventeranno più evidenti ». Un riferimento a possibili candidature di Terzi in politica, che lo stesso ex ministro respinge con forza. Per questo «ho deciso di assumere personalmente la responsabilità della condotta di questo tema nella fase cruciale e finale». Monti, contestato dai deputati del Pdl, assicura che il suo governo «non vede l’ora di essere sollevato da questo incarico». E dai banchi del centrodestra viene urlata la domanda: allora, perché si è ricandidato? Monti tira dritto e ricorda il motivo della decisione di rispedire i marò in India, una volta ottenute rassicurazioni scritte sull’esclusione della pena dimorte: i «rischi di isolamento dell’Ita – lia». Si è trattato di «una decisione difficile e dolorosa ma che ci è apparsa necessaria», per evitare, alla fine, che fossero «pregiudicati i rapporti» con l’India. Il Professore ricostruisce tutto quanto fatto dopo il fermo in India di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, respingendo «con forza qualsiasi illazione su scambi o interessi privati » dietro il loro ritorno in India, adombrati dal Movimento 5 Stelle: «La nostra priorità sono sempre state la sicurezza, l’incolumità e la dignità deidue maròe di tutti i cittadini italiani che si trovano in India », assicura. Per finire un «omaggio» a Girone e a Latorre, all’«atteggiamento e al grande senso di responsabilità che hanno tenuto», nell’accettare di tornare in India, «un comportamento esemplare». Il fuoco di fila degli interventi a commento delle parole del premier è impietoso. «Il governo Monti è fallimentare sul piano economico, politico e internazionale », scandisce il deputato del movimento Cinque Stelle Manlio di Stefano, parlando anche delle «teatrali dimissioni» del ministro degli Esteri, e chiede che «entro una settimana» siano messi online tutti i documenti in possesso del governo relativi alla vicenda. «La sua relazione è stata per metà grigia risposta burocratica e per l’altra metà uno scarica barile inaccettabile. Il suo governo è stato un fallimento e la vicenda marò ne è l’emblema. Lei ha basato tutta la sua azione politica sull’azzar – do morale, sulla doppiezza morale », solo «per perseguire i propri interessi» in un «sobrio delirio di onnipotenza»: il capogruppo del Pdl alla Camera,RenatoBrunetta, usa parole di forte critica non solo per la vicenda dei marò, ma per tutta l’attività del Professore. Il Pd e Scelta Civica difendono l’opera – to di Monti, ma si scagliano contro Terzi. Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia, chiede al premier «la sua immediata rinuncia a un titolo che non merita», cioè a quello di senatore a vita. Monti replica il suo intervento, più o meno con le stesse parole e gli stessi concetti, al Senato. Contestazioni e giudizi duri anche a Palazzo Madama. Dichiara Renato Schifani, capogruppo del Pdl al Senato: «Il governo ha fallito nella vicenda dei marò», facendo in modo di «mettere in dubbio la credibilità del Paese», ma ha fallito «anche sui conti pubblici e sulle ricette economiche. E’ giunto il tempo che la politica si riappropri del governo del Paese, possibilmente sotto la guida illuminata del presidente Napolitano».