Cosa significa ritardo nei pagamenti per una piccola impresa? Basta un esempio. «Nel 2010 abbiamo rifatto la centrale termica dell’Ospedale Villa Salus a Mestre (è privato ma opera nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, ndr). Il contratto prevedeva subito un 20% di acconto e poi l’80% in due tranche a 120-150 giorni. Ci hanno pagato a un anno dal lavoro solo perché gli abbiamo intimato un’azione legale». Storia di Edoardo Boscolo, imprenditore di Mestre di 34 anni, che porta avanti l’impresa di famiglia (suo padre è il secondo socio) e ha sotto di sé quattro operai, un’apprendista e una segretaria in maternità che per motivi economici non è stata sostituita. «Ma nell’agosto del 2007 avevo quattordici dipendenti ». Ultimo fatturato 500 mila euro «perché ho scelto di lavorare solo di manodopera per non dover pagare i fornitori», contro i 2 milioni del 2006. Il suo settore è la termoidraulica, realizza impianti termici e sanitari. Insomma, dal riscaldamento ai bagni. All’attivo ha una caserma, un Conservatorio di Musica, il piano di una scuola di Rovigo e, appunto, l’Ospedale Villa Salus di Mestre. Questo per quanto riguarda gli appalti pubblici, perché ora la via della salvezza è rappresentata dai privati. Storia esemplare, comune a migliaia di imprenditori stretti nella morsa dei pagamenti della pubblica amministrazione che tardano ad arrivare, e che si inventano mille soluzioni per rimanere a galla e trovare una soluzione alla carenza di liquidità. «Ora cerco di lavorare con quattro aziende che negli anni si sono dimostrate pagatrici. E so che se mi pagano in ritardo è perché soldi non ne hanno». Attuale lavoro in corso: 18 appartamenti superlusso a Venezia. «Il nuovo cliente sta pagando a 90 giorni». Niente a che vedere dunque, con i 120 giorni della pubblica amministrazione. «Se vuoi lavorare con un’amministrazione statale devi accettare pagamenti lunghi, che sforano da 120 a 150 giorni, altrimenti niente cantiere». Dal primo gennaio 2013 la pubblica amministrazione dovrebbe pagare i propri fornitori entro 30 giorni. Al più si potrà arrivare a 60 solo in casi ben precisi. Lo stesso limite riguarda anche le transazioni azienda-azienda, ma in questo caso il tetto può essere superato nel caso ci siano accordi tra le parti: è una direttiva del Parlamento europeo che l’Italia doveva recepire ma che fatica a rispettare. La situazione ora è critica, però non è sempre stato così. «Nel 2008 sono cominciati i problemi — continua Boscolo —. Fino ad allora il pubblico pagava in media a 90 giorni e le banche dunque concedevano i fidi per gli anticipi di fattura. Ora non è più così, si va a 120-180 giorni. Se lavori con un’amministrazione statale gli istituti di credito non vogliono più esporsi. Ho avuto le prime difficoltà il 19 dicembre 2010. Sono stato chiamato da una delle due banche con cui lavoravo e mi hanno detto: “I tuoi clienti pagano sempre in ritardo, noi ci esponiamo più del dovuto”. Il rubinetto è stato chiuso, ma i miei clienti pagavano sempre. Ora cerco di lavorare soprattutto con i privati, però la crisi colpisce tutti. Adesso la cantieristica nel pubblico fa più paura alle banche». Il meccanismo che dà liquidità alle imprese per poter lavorare (pagare i dipendenti, i materiali, i fornitori, le tasse) è quello dell’anticipo di fattura. «Emettevo una fattura in anticipo a 90 giorni. Fino al 2008 andavo in banca e cedevo il credito—spiega Boscolo—e l’istituto mi anticipava una parte dei soldi che mi permetteva di lavorare. Allo scadere dei 90 giorni anche la banca rientrava. Quando i clienti hanno cominciato a pagare a 120-180 giorni, comunque la banca mi richiedeva il rientro a 90 giorni e dunque io dovevo restituirli». Per capire meglio, facciamo una simulazione: un imprenditore che sta eseguendo un lavoro emette una fattura in anticipo a 90 giorni pari a 100 mila euro; poi cede il credito alla banca che gli anticipa 80 mila euro; passati i 90 giorni l’istituto di credito scarica la fattura. Questo è uno dei meccanismi che si sono inceppati e che fa parlare di contrazione del credito. Il risultato, per un imprenditore come Boscolo, è che ha «fatture più grandi degli affidamenti bancari». Adesso paga gli stipendi degli operai al 20 del mese «con una discreta regolarità, mentre prima era al 10 e qualcuno avanza soldi». «Ma mi conoscono e sanno che non dilapido le risorse. Il mio è un impegno costante per restare a galla, ma così è davvero logorante. Nel ’96 si parlava di crisi, però non era come adesso. Un tempo quello che dicevano i tg non mi toccava, adesso lo sento sulla mia pelle». «Il mio obiettivo è di farcela — conclude Boscolo —. Voglio salvare la mia impresa, non voglio chiuderla per aprirne un’altra».