Il «no» unanime del M5S non sembra lasciare margini all’ottimismo, i montiani pongono condizioni e molti, nel Pd, temono un «bluff» da parte del centrodestra. Ma Bersani, che pure ammette le «difficoltà », mostra di credere nel «miracolo» di un governo che porti il suo nome. La strategia della lentezza non ha dato per ora numeri certi da portare sul Colle, eppure nello staff del segretario si respira un’aria meno plumbea. «Napolitano sorprenderà tutti», azzarda un pretoriano del leader. Al Nazareno, nonostante le fibrillazioni dentro il partito, pensano che il penultimo giorno di consultazioni abbia segnato una svolta. Parlare di aperture sarebbe fuorviante, ma al vertice del Pd si sono convinti che «ci sono spiragli» e che nelle prossime ore il centrodestra potrebbe ufficializzare il via libera a Bersani. «Non dico sia fatta, ma il Pdl certo non ha chiuso», sorride Davide Zoggia. E Grillo che sbatte la porta? «Non è una novità. Ma quando hanno eletto, con i nostri voti, un questore al Senato e un vicepresidente alla Camera, la cosa non gli ha creato tanto disturbo». Il filo è sottilissimo, ma i bersaniani più ottimisti fantasticano di un’intesa vicina sul nome del successore di Napolitano e rimarcano quella «forte legittimazione» che Enrico Letta ha offerto all’opposizione attraverso la Convenzione per le riforme: un organismo cogestito e dotato di «grandi poteri», che nei piani di Bersani dovrebbe essere guidato da Alfano. Troppa fiducia? «Diciamo che c’è voglia di farcela», stemperano i facili entusiasmi i collaboratori del presidente incaricato. E rivelano come anche Bobo Maroni avrebbe «una voglia matta» di dar vita a un governo che allontani le elezioni. Il segretario avrebbe registrato una preziosa sintonia con il leader della Lega, tanto che nel Pd si torna a ragionare della possibilità che diversi senatori del Carroccio lascino l’Aula al momento del voto di fiducia, così da abbassare il quorum. «Ho puntato su un quadro di corresponsabilità — è l’appello di Bersani a tutte le forze —. Chiedo che questo percorso non venga impedito. Punto. Non inseguite dietrologie o strani cunicoli». Le dietrologie si sprecano e riguardano l’elezione del prossimo capo dello Stato, che il Pdl rivendica per sé. Bersani ribadisce che non ci saranno scambi, eppure la girandola dei nomi non sgraditi al Cavaliere si è rimessa in moto, con Marini e Grasso favoriti. Al centrodestra Bersani ha proposto una squadra «snella, ma di qualità», con ministri «di alto profilo». Un governo politico, arricchito da personalità esterne e inattaccabili, che nulla però abbia a che fare con le larghe intese: «L’esecutivo — ha chiarito Bersani — lo facciamo noi». Resta il passaggio cruciale dei numeri, di cui lui non pare curarsi. Se Bersani pensa che ci siano «tanti modi per far partire un governo», Vendola ritiene che l’ostacolo del Colle si possa superare anche senza una consistenza numerica certa e spiega così il piano del segretario: «L’Italia è al collasso, se c’è una piattaforma che incontra un sentimento largo, chi la rifiuta deve spiegarlo al Paese». Con questo spirito Bersani salirà al Colle domani, o venerdì al massimo, per chiedere a Napolitano un mandato pieno. Il segretario non vuole andare al braccio di ferro con il capo dello Stato e i suoi assicurano che non opporrà resistenza. Se il presidente dovesse metterlo di fronte all’evidenza dei numeri Bersani insisterà sull’urgenza imposta dalla crisi economica e sul fatto che non esistono strade più larghe della sua. «Anche Bush—ha detto alla delegazione del centrodestra — ha governato anni con una manciata di voti di scarto…». Dietro la facciata dell’unità, il Pd è dilaniato. «Bersani farà il governo e quelli di noi che hanno il maldipancia si prenderanno un maalox», sospira Fioroni. I dalemiani sono pronti alle larghe intese. I veltroniani teorizzano un «governo del presidente» guidato da Saccomanni. Renzi ha promesso lealtà, ma i suoi scalpitano. «Se Napolitano decide che i compitini di Bersani non vanno bene—prevede Angelo Rughetti—un governo bisognerà farlo…»