Volete un giudizio? È stato uno dei migliori presidenti del Senato, nella lunga e fosca epoca berlusconiana macchiata di illegalità grandi e piccole, dentro (le Camere) e fuori (nel Paese e all’estero). Sto parlando di Franco Marini, un uomo che stimo. Ha presieduto la “Camera alta” (pensate, per quasi due decenni la casa di Marcello Dell’Utri) con mitezza e sottomissione. Non sottomissione a qualcuno, l’uomo è perbene e libero. Ma all’idea (del resto divenuta articolo di fede nel centrosinistra) che Berlusconi e i suoi (Lega inclusa) siano il territorio, l’ambiente, il paesaggio in cui devi abitare (segnato dai confini inesorabili del controllo mediatico). E che l’unica saggezza sia di accettare realisticamente un così poderoso dato di fatto. Sto parlando di Franco Marini, presidente e gentiluomo, che è stato seconda carica dello Stato durante i venti mesi del governo di Prodi. NESSUN GOVERNO è stato mai attaccato con violenza, volgarità e autentico teppismo nell’aula del Senato come in quei due anni, e i lettori sanno che questa è una testimonianza dal vivo. In nessun giorno è stato possibile lavorare perché un coro furente di insulti iniziava all’ora di apertura, che Marini aveva stabilito alle 9 o alle 9:30, e finiva a volte, nel cuore della notte. Ricordate? Erano le notti segnate dai cori di insulti da stadio a Rita Levi Montalcini, con l’esibizione di stampelle e pannoloni o con l’accusa di “ladra!” perché il premio Nobel per la Medicina aveva presentato un provvedimento a favore della ricerca scientifica. L’altro insulto più ripetuto, nelle onorevoli notti del Senato, era “assassino”, gridato all’ex Capo dello Stato Scalfaro, per aver partecipato al giudizio di criminali fascisti (che Scalfaro non chiamava “i ragazzi di Salò”) subito dopo la Liberazione. Era un Senato con la maggioranza di due (due senatori in più nel centrosinistra) a sostegno di Prodi. In quel Senato era molto difficile la vita per chi voleva fare opposizione. Intorno a te tacevano, vincolati dall’ordine stret tissimo che circolava fra ex pci ed ex dc di “non peggiorare le cose”. E di fronte a te, il presidente si sporgeva dall’alto per esortarti a lasciar perdere, “li conosci quelli, non cercano altro. Vedrai che se lasci perdere la smettono”. Non hanno smesso mai. Ma devo riconoscere che c’era anche una componente generosa in Marini. Sapeva che io ero destinatario di un furore speciale, dopo i quattro anni di direzione dell’Unità in cui, assieme a Padellaro, non avevo mai dato per scontato il fatto di vivere all’in – terno del mondo di Berlusconi (“cosa ci vuoi fare? hanno i voti, e gli italiani ne hanno piene le scatole delle vostre polemiche”) e perciò bastava che mi alzassi, in Senato, per provocare le urla, militarmente ripetitive, anche per mancanza di fantasia (come dimostrano Sgarbi e Busi ci vuole cultura per insultare) della Lega Nord di cui ancora si diceva che “però sono brave persone e non rubano” (due falsi smentiti per fortuna in poco tempo). UNA DI QUELLE VOLTE Marini, che voleva un po’ di silenzio, ha schivato per miracolo il libro del regolamento che gli è stato gettato, con buona mira, da qualcuno del bosone di Higgs berlusconiano (il cuore caldo, ma anche un po’ omicida che difende a tempo pieno la famiglia). Una di quelle volte il senatore Malan, espulso per eccesso di insulti, non si è fatto espellere, difeso e circondato dai suoi contro i commessi. È restato dodici ore in aula e ha fatto pipì in apposita bottiglietta (senza esibizioni, devo dire). Ma anche senza chiedere scusa per quella clamorosa violazione delle regole fondamentali di un’assemblea e quello sfregio alla autorità del presidente. Subito dopo la vita continua. Ed è continuata fino alla caduta di Prodi, con la famosa scena che sembra tratta da un film, tanto è esagerata. I senatori Strano e Gramazio (si vede spesso a Blob) dividono con i colleghi del senato italiano champagne e mortadella, sporcano le poltrone e ridono e gridano, mentre il presidente Marini si raccomanda: “Colleghi, questa non è una osteria”. Se lo fosse stata, sarebbe stato il male minore. Il male vero, grave, che continua ancora (e forse Bersani adesso cerca la forza di liberarsi) è smetterla di far finta che questa sia, che ti piaccia o no, l’epoca di Berlusconi e che ognuno di noi, non importa la carica istituzionale, si deve mettere un po’ al di sotto, e accettare un po’ di volgarità e di violenza, perché “lo sai come sono fatti”.