Senza Mario Monti, che si è bruciato da solo, sono rimasti in tredici: Lamberto Dini, Beppe Pisanu, Giuliano Urbani, Antonio Martino, Marcello Pera, Franco Marini, Pierluigi Castagnetti, Sergio Mattarella, Anna Maria Cancellieri, Romano Prodi, finanche gli iperconsumati, non solo di nome, Giuliano Amato, Gianni Letta e Massimo D’Alema. In questa lunga formazione si cela il prossimo presidente della Repubblica? Improbabile. Ma è questo il totonomi che ormai da giorni rimbalza tra le sponde di Pd e Pdl. Il Quirinale è diventato la vera ossessione di Silvio Berlusconi che vuole un “Re Travicello” e ieri ha minacciato di bloccare il Parlamento qualora il centrosinistra dovesse “occupare” pure il Colle dopo aver eletto già propri presidenti alla Camera (Boldrini) e al Senato (Grasso). IN REALTÀnel rompicapo della successione a Giorgio Napolitano non c’è ancora “un nome certo”, come riferiscono sia dal cerchio magico di Pier Luigi Bersani, sia da quello del Cavaliere. Più che da una trattativa vera e propria, i vari nomi escono dai conversari di pontieri autorizzati e non tra i due poli. In ogni caso, la partita che si aprirà il prossimo 15 aprile, quando inizieranno le procedure del Parlamento a Camere riunite, proietta la sua ombra sulla “strada strettissima” del premier preincaricato Bersani. B. e Alfano propongono lo scambio alla luce del sole: “Con accordo sul Quirinale via libera a Bersani”. Il Pdl degli impresentabili, pur di uscire dall’an – golo, sta offrendo di tutto al Pd. Ieri, il Cavaliere ha persino proposto Alfano vicepremier di Bersani. La risposta del segretario del Pd è stata preceduta da un sorriso: “Ragazzi non scherziamo, facciamo discorsi seri. Non si può al mattino annunciare la guerra mondiale e al pomeriggio proporre degli abbracci”. L’unica garanzia che in questo momento arriva dai democrat è quella ripetuta dallo stesso Bersani nei giorni scorsi e da Enrico Letta ieri: “L’elezio – ne del presidente della Repubblica deve essere più larga possibile, cercando la condivisione”. Insomma, il Pd per il momento non si spinge oltre il metodo. Basterà questo a sbloccare lo schema bersaniano che potrebbe arrivare giovedì al Quirinale, cioè: appoggio montiano e non sfiducia della Lega? I bersaniani, ma anche il gruppo dirigente democratico (Anna Finocchiaro), non vogliono sentire parlare di scambio in questa fase. La strategia è sempre quella di “un passo alla volta”, che almeno sinora ha condotto il segretario del Pd al pre-incarico. Dicono: “Sul Quirinale si ragionerà dopo il governo, tutti i nomi fatti sinora non vengono da noi”. E lo stesso Bersani ci ha scherzato su: “Sento cose che mi incuriosiscono e osservo divertito il totonomi. Vorrei dire: ci manca solo che ci mettiamo a discutere di chi è il presidente della Repubblica. Non si sta discutendo di questo, lo faremo a tempo debito, non si mescolano cose palesemente differenti”. Ovviamente se la Lega, d’accordo con B., darà il via libera a Bersani è implicita l’accettazione del metodo condiviso sul Colle tra poco più di due settimane. A SENTIRE poi gli uomini del Pd più vicini al premier preincaricato nella testa di Berlusconi ci sarebbe solo un nome. Quello di Giorgio Napolitano. È il tormentone del mandato bis a tempo, che l’attuale capo dello Stato ha rispedito più volte al mittente. Ma nel Pdl si insiste: “Se mettiamo Napolitano di fronte al fatto compiuto accetterà”. Al Cavaliere l’ultima esternazione del Colle sulla giustizia, che gli ha garantito un legittimo impedimento fino al 15 aprile, è piaciuta parecchio e il realismo (togliattiano) dell’ex comunista Napolitano costituisce una solida garanzia per i berlusconiani. Metodo condiviso, però, significa anche tirare dentro un nome gradito ai grillini del Movimento 5 Stelle. Adesso se ne parla di meno, ma nella strategia di Bersani l’at – tenzione al M5S continua a essere alta. Su questo fronte i nomi sono altri: Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky, lo stesso Prodi (che costituisce l’incubo di B.), addirittura Laura Puppato. Senza dimenticare il fattore sorpresa, che il segretario del Pd ha sfruttato già per l’elezio – ne dei presidenti delle Camere. Al di là del totonomi, sembra chiaro che in questa fase il Pd di Bersani non andrà oltre una dichiarazione d’impegno su un capo dello Stato “eletto largamente”. Difficilmente B. si fiderà. Anche perché, come dicono i falchi del Pdl, “così Bersani fallirà e dopo verrà il governo del presidente con un accordo globale tra Pd e Pdl. I numeri sono numeri”.