Quei trenta secondi di preghiera, in silenzio, sono già storia. Il Papa venuto «quasi dalla fine del mondo» chiede alla piazza «un favore»: che si preghi per lui e lo si faccia a bocca chiusa. Poi china il capo e ottiene il miracolo. Roma è già conquistata da Papa Francesco. Il primo. Il nuovo povero della Chiesa, che vuole essere benedetto dai buoni pensieri della gente. Primo gesuita e primo americano, anche. Sono le 20.22 di mercoledì 13 marzo. Sotto la pioggia e al freddo – ma l’entusiasmo scalda non solo il cuore – si apre una nuova pagina di storia. San Pietro è talmente illuminata che pare di cristallo. Tutti gli occhi sono rivolti al balcone: i maxischermi vengono ignorati, c’è bisogno di andare dritti alla sorgente. Francesco – fino a poco fa Jorge Mario Bergoglio, argentino – si presenta con semplicità. Indossa la stola solo per la benedizione, non la mezzetta (la mantellina rossa) né la croce d ’oro al collo. Basta quella di ferro, con il Buon Pastore che porta in spalla la pecorella smarrita. Davanti al nuovo Papa dall’austerità leggendaria, sta un gregge sterminato. Oltre centomila che fanno una piazza gioiosa e, prima, in trepida attesa. «Buonasera», esordisce. E pensa subito a Roma, la città di cui ora è vescovo. Poi invita a pregare per il Papa che non c’è, Benedetto XVI. Pater, Ave, Gloria, le preghiere che si insegnano ai bambini quando cominciano a parlare. Sprona a un «cammino» fatto «di fratellanza, amore e fiducia». Impartisce la benedizione Urbi et Orbi, concedendo l’indulgenza plenaria. Dice che il giorno seguente andrà «a pregare la Madonna perché custodisca Roma» (e sarà in Santa Maria Maggiore). Saluta con un semplice «buona notte, buon riposo». Al mattino, vorrà addirittura pagare l’albergo in via della Scrofa dove ha soggiornato prima del Conclave. IN PIAZZA ESPLODE LA GIOIA Tutti gli vogliono già bene. Una santa comunione, quella di stasera. Una festa. Deve averlo visto anche il gabbiano che, ostinatamente piazzato sul comignolo della Sistina, ha rubato una fetta di celebrità al collega Jonathan Livingston. Alle 19-06 ecco la fumata, all’inizio incerta, poi senz’altro bianca. Le campane confermano suonando a distesa. La piazza esplode, anticipa con un boato YHabemus Papam del cardinale Tauran che arriva alle 20.12. Evviva c’è il Papa, viva il Papa! Un fiume di gente invade San Pietro, arriva da via della Conciliazione. Spinta dalla fede o solo dalla voglia di esserci. C’è chi s’inginocchia e sgrana il rosario, chi piange, chi balla. Perché Roma non può stare senza Sua Santità e neanche il resto dei cattolici, disorientati dalla rinuncia di Benedetto. Quel vuoto andava colmato in fretta. «I cardinali ci diano presto un Buon Pastore », sera augurato il decano Sodano, durante la messa pre-Conclave. Eccolo. Ma all’annuncio ufficiale, nessuno capisce bene il nome. «Bergojo? Sarà africano », dice una signora. Secondi di smarrimento. Quando però Tauran pronuncia «Franciscus», Francesco, la piazza scoppia in un applauso, ed è gioia, gioia, gio iaaa! Il connazionale don Saverio Sotares, giornalista di Radio Maria, assicura: «Un grande dono è stato fatto alla Chiesa, lui la cambierà. Cammina tra i poveri, ha intelligenza profonda». Qualcuno di provata fede (calcistica), se ne esce con una battuta: «Francesco I ce l’avevamo già (Totti, ndr), lui è Francesco II!». Mai come stasera, Roma è caput mundi. E mai s’immaginava un Papa a sorpresa. Tanto che perfino la Cei (Conferenza episcopale italiana) è incappata in una gaffe: pochi minuti dopo la nomina, viene inviato un testo in cui si esprime «gioia e riconoscenza » per «l’elezione del cardinale Angelo Scola a Successore di Pietro». Ma cose successo in Conclave? Osservatori notano che il favoritissimo Scola avrebbe scontato la sua estrazione ciellina. 128 elettori italiani inoltre, non avrebbero remato tutti nella stessa direzione. Così Bertone non gli avrebbe mai perdonato d’aver suggerito la sua sostituzione a Papa Ratzinger (fu durante la bufera per la grazia al vescovo negazionista Williamson). Quanto a Sodano, si era trovato su opposti fronti, rispetto al controllo di istituzioni cattoliche. E Ruini, pur apprezzando Scola, non avrebbe dato indicazioni di voto ai porporati del mondo. Un frazionamento che rispecchia, anche, le divisioni intestine. L’altro favorito, il brasiliano Scherer, è invece membro della commissione cardinalizia di vigilanza dello Ior, la banca vaticana. Questo essere “curiale” non gli è valso il sostegno degli elettori d’estrazione diplomatica e così, senz’altro, ha perso il «partito romano». Ma un Conclave sfugge alle logiche degli schieramenti, non è un congresso politico. Gli scrutini si accompagnano al le preghiere e si vota davanti al Giudìzio universale di Michelangelo. Perciò lo Spirito Santo, per chi crede, ha suggerito una soluzione condivisa tra i 115 cardinali, con la maggioranza di almeno due terzi (77) che ha permesso l’elezione di Bergoglio alla quinta votazione. La spinta tra i porporati a guardare «oltre l’Europa» e «oltre Oceano» era d’altronde crescente. E le Chiese che danno linfa, raccogliendo un numero di cattolici in aumento, sono proprio quelle del Sudamerica, Africa, Asia. C’era bisogno di aria nuova, e gli italiani non hanno fatto una bella figura. Se visto quando Bertone, riassumendo la vicenda dello Ior durante l’ultima Congregazione generale, è stato contestato. «Il Conclave è pieno di grillini», ha azzardato un porporato a lui vicino, «tutta gente che vuole smantellare la Curia». Scrive il giornalista Giulio Anseimi: «I papabili hanno detto del futuro pontefice nei giorni pre-Conclave: “Dev’essere santo, carismatico, deciso a governare, mediaticamen te efficace”». Certo gli statunitensi, come racconta in modo irrituale Timothy Dolan, hanno fortemente appoggiato Bergoglio. «La Chiesa è in buone mani», esordisce l’esuberante arcivescovo di New York. «Quando è arrivato al 77° voto, è scattato l’applauso. Papa Francesco rappresenta una pietra miliare per la nostra Chiesa». Intanto quella di Los Angeles ha appena sborsato 10 milioni di dollari: è l’indennizzo per quattro vittime di abusi sessuali, commessi dall’ex sacerdote Michael Baker. E questo Papa continuerà ad applicare la «tolleranza zero» di Ratzinger. Se poi Obama lo saluta come «il paladino dei poveri e dei più vulnerabili», i leader delle altre confessioni religiose lo accolgono con la speranza del dialogo. Lui scherza, persino. «Cari fratelli, che Dio vi perdoni!», dice ai cardinali nella Sistina (e lo si è saputo da un tweet del sol ito Dolan). Chissà cosa invece avrà detto a Benedetto XVI, durante la telefonata dopo l’elezione e forse quand’era ancora nella «stanza delle lacrime», per vestire l’abito confezionato in tre taglie dalla storica sartoria Gammarelli. Da Castel Gandolfo, Ratzinger ha seguito le varie fasi in diretta tv e ha ricevuto la benedizione Urbi et Orbi dal suo successore. Molti ricordano il Conclave del 2005, quando l’antagonista di Ratzinger fu proprio Bergoglio. L’argentino raggiunse i 40 voti, ma chiese di non essere più votato. Incarnava l’ala progressista, con Martini già affetto da Parkinson e in opposizione al conservatore Ratzinger. Ma certi segni di Benedetto XVI sono ora da leggere come una profezia o un’indicazione. Nell’ultimo Concistoro di novembre, aveva eletto sei cardinali ma nessun europeo. Nell’Angelus dopo la rinuncia, invitava a pregare in lingua ispanica. E privatamente, si sa, ha sempre detto di apprezzare il gesuita che purificò la Chiesa argentina dalle compromissioni con la dittatura militare. In questo Conclave le categorie sono saltate, un po’ come la destra e la sinistra in politica. Bisognava ricominciare dal nuovo, attingendo al Vangelo delle origini. Ora la riforma della Chiesa è condivisa, a partire dalla collegialità della Curia che mai Ratzinger riuscì a realizzare. Sembra un passaggio di testimone. E Francesco sapeva addomesticare anche i lupi.