Versioni opposte. Da sempre e come sempre. Intrise di astio. È come se vivessero su pianeti in perenne guerra il padre e la madre di Leonardo, il bimbo di 10 anni che da mesi viene sballottato da un genitore all’altro, con tappa intermedia in una casa accoglienza, dopo che il video che lo ritraeva disperato e urlante mentre i poliziotti nell’ottobre scorso lo trascinavano a forza fuori dalla sua scuola elementare ha fatto il giro del mondo, lasciando interdetta più di una coscienza. Ora Leonardo, sulla base di una sentenza della Cassazione che ha di fatto demolito la precedente decisione della Corte d’appello di Venezia, che lo aveva dato in affidamento al padre, è tornato a casa della mamma. È la terza volta in 5 mesi che cambia letto. Impossibile immaginare i suoi pensieri, il suo tormento. Eppure, attorno a lui, c’è chi esulta e chi impreca. La madre, farmacista, dice che «è molto provato, ma è felice di stare con me e presto tornerà in quella scuola dalla quale ingiustamente era stato prelevato». Il padre, avvocato, ha il morale in cantina, ma la forza di arrabbiarsi la trova ancora: «È tornato da quella famiglia alienante che gli ha fatto il lavaggio del cervello… » sibila. Finita così? Naturalmente no. Stando alla Cassazione, l’estenuante vicenda finirà davanti alla Corte d’appello di Brescia, alla quale spetterà decidere se il piccolo Leonardo è stato effettivamente vittima della «sindrome da alienazione parentale» (Pas), motivo che spinse i giudici veneziani a toglierlo alla madre, ma che ora viene messo in dubbio dai giudici di piazza Cavour. È questo il nodo di fondo: era colpa della mamma e di un ambiente familiare fortemente ostile all’ex coniuge l’atteggiamento di rifiuto che Leonardo ha dimostrato in passato verso il padre? La Corte Suprema ha accolto il ricorso della madre, sostenendo che l’ipotesi della sindrome necessita di «un conforto scientifico » in assenza del quale si corre il rischio «di adottare soluzioni potenzialmente produttive di danni ancora più gravi di quelli che teorie non rigorosamente verificate pretendono di scongiurare ». In sostanza, la Cassazione individua nella sentenza veneziana l’assenza di «un’indiscutibile valenza oggettiva». Di oggettivo, comunque, c’è ben poco in questa storia. Si litiga su tutto, persino sulle modalità con le quali il bambino è stato riconsegnato alla madre. Quest’ultima, appena saputo della sentenza, si è precipitata assieme ad alcuni parenti davanti alla casa accoglienza di Padova, decisa a portarsi a casa il figlio. C’è voluto un po’ (e non sono mancati momenti di tensione con le suore) prima che la donna si rendesse conto che Leonardo non era lì, ma dal padre. A quel punto, si è catapultata di fronte all’abitazione dell’ex marito. E qui le versioni dei due, figurarsi, divergono. La tesi della donna: «Appena lui (l’ex coniuge, ndr) mi ha visto, ha richiuso la porta di casa, ma il bimbo ha sentito la mia voce e, salendo in auto, mi ha detto: “Mamma, voglio che finisca questo incubo…”». Tesi del padre al «Corriere del Veneto»: «Eravamo a cena, la mia ex moglie si è presentata con atteggiamento aggressivo, dando pugni alla porta e sparando insulti: vista la situazione, ho fatto indossare al bambino la giacca e l’ho fatto andare, ma è stato traumatico e non escludo di presentare denuncia»