La cassaforte dei narcos erano i cani.

Li imbottivano chirurgicamente di ovuli di cocaina purissima al 91%, e dopo aver passato i controlli doganali li ammazzavano senza pietà e li smembravano per recuperare la sostanza.

È uno dei capitoli più agghiaccianti che emergono dall’inda – gine sulle bande latinoamericane condotta dalla polizia di Milano e coordinata dalle Procure della Repubblica presso il Tribunale ordinario e per i Minorenni di Milano, a seguito della quale ieri sono state eseguite 75 ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la persona, il patrimonio, traffico di stupefacenti e detenzione di armi. Oltre ai destinatari – 57 maggiorenni e 18 minorenni, tutti componenti delle cosiddette «pandillas » sudamericane – ci sono anche 112 indagati, sparsi nelle province di Bergamo, Brescia, Lodi, Pavia, Piacenza, Novara, Varese, e a Roma. Grazie al materiale raccolto dagli agenti del commissariato Mecenate e dalla Procura, è stato possibile attribuire alle bande lo status di organizzazione criminale, equiparandole ai gruppi più strutturati: come per la ‘ndran – gheta, per esempio, è stata riscontrata la gestione verticistica, la lotta per il territorio (magari con ritorsioni e omicidi), il versamento di quote per il mantenimento dei carcerati. Finora l’azione delle pandillas, in Italia, era rimasta relegata al teppismo e ai reati predatori, ma i Latin Kings di Milano stavano per fare il salto di qualità grazie al traffico di cocaina messo a punto con un narcos del cartello messicano. Era lì, in Messico, che un veterinario compiacente inseriva chirurgicamente gli ovuli nella cassa toracica degli animali, tra gli organi interni. Un’operazione così accurata da non uccidere i cani, che però erano costretti a dolori indicibili per tutta la durata del viaggio.

Una volta «ricuciti », infatti, erano caricati nella stiva di un aereo diretto a Milano e quando arrivavano a Linate venivano spediti nelle varie destinazioni del Nord Italia per essere ammazzati. Costava troppa fatica rimuovere col bisturi la droga, quindi i trafficanti preferivano sparargli un colpo in testa e poi squartarli. Una mattanza.Anzi, una strage: gli investigatori sono riusciti ad accertare 48 viaggi, per altrettanti caniovuli contenenti 1.250 grammi di sostanza. Su questi, solo uno è riuscito a cavarsela grazie a un moto di pietà da parte della compagna di un trafficante. È accaduto a Pisa nell’aprile 2012, quando una pattuglia di carabinieri è intervenuta in un’abitazione per una lite tra conviventi scoppiata a causa dei lamenti del cagnone.

Le urla tra la donna e il narcos avevano allertato i vicini, e quando i militari sono arrivati sul posto la donna ha spiegato che il cane nascondeva la cocaina. Una cosa incredibile, alla quale i carabinieri hanno creduto davvero solo quando hanno visto gli esiti dei raggi X. I trafficanti usavano cani di grossa taglia come San Bernardo, Gran Danese, Dog de Bordeaux, Mastino Napoletano, Labrador, tutti quelli in grado di ospitare un gran numero di dosi.

I panetti erano prima avvolti nel cellophane, poi nella carta carbone, di nuovo nel cellophane e infine chiusi con scotch di vinile nero che risultava quasi impenetrabile ai raggi dell’aeroporto. Superati i controlli, il carico era ritenuto al sicuro, mentre l’animale eliminato senza scrupoli. Gli investigatori hanno scoperto che all’inizio i membri incaricati dell’operazione concedevano loro almeno l’onore della sepoltura, ma quando il ritmo si è fatto più serrato, hanno iniziato ad abbandonare le carcasse in una sorta di cimitero improvvisato.