Tutto ringalluzzito per l’esito dell’operazione Boldrini- Grasso, Pier Luigi Bersani medita di riproporre lo stesso schema per la formazione del governo che ambisce a presiedere. L’estrazione dal cilindro di personale a bassissimo tasso di impronta partitica e sprizzante civismo da ogni poro onde rendere difficile ai liberi pensatori grillini sottostare ai diktat astensionisti del quartier generale pare diventato per il leader del Partito Democratico ciò che la zona era per Arrigo Sacchi: l’unico schema ammissibile. LE BELLE FIGURINE Così, sentendosi già in tasca l’incarico (Bersani è certo che un mandato almeno esplorativo Giorgio Napolitano non potrà non concederglielo), il segretario del Pd accarezza l’idea di mettere in piedi una squadra di governo il profilo dei cui effettivi ricalchi quanto possibile quello dei presidenti delle due Camere: impolitici, presi dalla società civile, il giusto mix di radicalismo chic e allure movimentista. I primi nomi che circolano, conseguentemente, sono una roba da far rimpiangere certi monocolori Dc degli anni belli. Per dire, di questo futuribile governo Bersani potrebbero far parte elementi del calibro di Roberto Saviano, Don Luigi Ciotti, Alessandro Cecchi Paone (per il quale si ipotizza addirittura la creazione di un ministero ad hoc per i diritti civili: il diretto interessato dice di non vedere l’ora), Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà, Dario Fo, Carlo Petrini. La battuta di Bersani circa il fatto che, eleggendo alle Camere Boldrini e Grasso, «mi è toccato buttar via due ministri», alla fine, tanto una battuta non era. La cosa da capire, a questo punto, è per quale motivo il segretario del Pd si sia risolto a sfidare tanto platealmente il senso del ridicolo. Il motivo, assai banale, è che si tratta dell’unica, flebile possibilità per lui di accomodarsi sulla poltrona di Palazzo Chigi. Fuor di metafora: in Parlamento i voti per il governo Bersani non ci sono, e l’unico modo per provare a farli saltare fuori è questo qua. Il Pd, infatti, si è fatto terra bruciata intorno. La sponda col Pdl, ove mai fosse stata contemplata, è al momento completamente impercorribile; il tentativo di sganciare la Lega dagli azzurri è miseramente naufragato sull’elezione della Boldrini (che definire indigeribile per i leghisti è dire poco) allo scranno più alto di Montecitorio; l’aiuto del centro montiano, che il premier in carica ha già fatto sapere di essere disponibilissimo ad offrire, sarà sicuramente necessario ma non sufficiente. E allora l’unica diventa trovare il modo di farsi dare dai Cinque stelle i consensi che servono. Con quelli in tasca e e dunque con la prospettiva di poter sfangare la prima fiducia per una manciata di voti (e confidando nella difficoltà di mettere in piedi un governo presidenzial-tecnico in sostituzione del Bersillo), il leader del Nazareno spera di forzare la mano di Giorgio Napolitano. Che, nonostante di dare il via libera ad un esecutivo meno che solido abbia pochissima voglia, nelle speranze di Bersani alla fine potrebbe persino cedere. I TIMORI DEL CAV E che l’eventualità di un pugno di grillini dissidenti che fanno nascere il governo Bersani esista anche al di fuori dello wishful thinking del leader del Nazareno lo dimostra anche la pessimistica profezia di Silvio Berlusconi: «Temo», spiegava ieri l’ex premier ai senatori del Pdl, «che un numero sufficiente di grillini si venderà a Bersani», onde mettere in piedi «un governo contro di noi», dato che «la sinistra ci odia». Ma l’eventualità di un governo siffatto non turba solo i sonni del centrodestra Anche tra i maggiorenti del Pd inizia a circolare un certo malumore. La cui origine è presto spiegata: tanti dirigenti Democratici a essere messi da parte in nome dell’inseguimento di Beppe Grillo non ci stanno. Comprensibile: da ministri e presidenti in pectore a peones o poco più il passo è lunghissimo, e doverlo fare ad un metro dal traguardo per compiacere (nemmeno si sa se con successo) gli umori dei grillini è dura. Una spia di questo malessere la forniva ieri la dalemiana Velina rossa: la vittoria di Bersani è «solo aver messo da parte l’onorevole Franceschini e la senatrice Finocchiaro che, in base alle ultime notizie, avranno un piccolo uovo di Pasqua come si fa con i bambini come compenso, cioè la conferma nel ruolo di capigruppo già ricoperto nella precedente legislatura »