I commessi del Senato erano disperati. Dicono che una cosa così non si era mai vista, pardon sentita nell’austero palazzo Madama, dove ieri si è eletto il presidente. Urla, insulti, accuse incrociate, scene di ordinaria isteria, pianti perfino, e il capogruppo Vito Crimi in seria difficoltà nello stoppare l’ira montante del gruppo. Alla Camera, a fine mattina, alcuni neodeputati del Movimento Cinque stelle l’avevano detto: «Non vorremmo essere nei panni dei nostri colleghi del Senato».Parole profetiche. Perché nonostante gli «onorevoli cittadini stellati» siano quasi tutti ragazzi, alla prima esperienza e forse anche al primocompleto in giacca e cravatta, più giovani dei senatori, sono stati compatti fino all’ultimo scrutinio nella scelta del loro candidato alla presidenza, Roberto Fico, che poi però ha dovuto arrendersi contro il volere di Pd e Sel, che hanno scelto Laura Boldrini. «Noi siamo stati coerenti, avevamo detto che non avremmo fatto accordi e abbiamo mantenuto la parola», dicevano in Transatlantico. «La casta sono gli altri, noi no». Ma è bastato andare in Senato, più tardi, per la battaglia finale tra Renato Schifani (Pdl) e Piero Grasso (Pd) per sentire tutta un’altra musica. Per assistere a scene di grillini spaccati, divisi, indecisi fino all’ultimo sulla scheda da mettere nell’urna (bianca o pro-Pd?). «No, dai, non si può rinnegare tutto quello che abbiamo detto fin qui», attaccava uno. «E, però, non possiamo neanche lasciare che vinca il berlusconiano Schifani! Grasso è il simbolo della legalità e noi ci sputiamo sopra? Il Pd l’ha fatto per noi, poi ci dicono che siamo irresponsabili e ci tagliano fuori, questi poi non ci fanno fare più un ca… qua dentro». Raccontano che una piccola pattuglia di senatori, soprattutto i sei eletti in Sicilia, hanno cominciato a versare benzina sul fuoco: «Se vince Schifani quando torniamo giù ci fanno un mazzo così…», ha avvertito uno e qualche minuto dopo il senatore Bartolomeo Pepe ha pubblicato su Fb un post sembrato appello alla libertà di voto: «Borsellino ci chiede un gesto di responsabilità», ha scritto parlando del fratello del magistrato, ora vicino alle posizioni del M5S. Vito Petrocelli non ci sta e se ne va sbattendo la porta. Crimi viene braccato dai giornalisti davanti alla buvette e sbotta: «Abbiamo fatto una scelta e la manteniamo. Non faremo da stampella a nessuno. Seguiamo la nostra linea», che in teoria è quella di essere distanti dai partiti tradizionali. Suona la campanellae si entra in Aula per il voto. Un gruppetto di grillini continua a discutere animatamente in un angolo della sala, volti tesi, paura di fare la mossa sbagliata. Dopo lo spoglio, che sancisce la vittoria di Grasso, l’unanimità dei Cinque stelle è un ricordo. Il candidato del Pd prende almeno 12 voti in più di quelli previsti (un paio vanno anche a Luis Alberto Orellana, che era il candidato del M5S, poi escluso al ballottaggio e dunque sono nulle), 3 M5S risultano assenti, ma l’inciucio è servito: almeno una dozzina di senatori grillini hanno smentito se stessi e hanno votato Pd, magari in cambio di qualche poltrona. Bersani gongola perché è riuscito a spaccare il «non-partito» del comico genovese, che gli ha lanciato un sacco di Vaffa e gli ha dato della «faccia da c…», e nel M5S è il caos. Crimi prima cerca di abbozzare: «Dentro l’urna il voto è segreto e qualcuno ha agito secondo coscienza ». Poi cambia registro e attacca il Pd perché «si è voluto prendere le due Camere come Berlusconi». Per il Pdl è giunto il momento che Grillo si dimetta perché «il suo progetto è fallito». Intanto la Boldrini ha subito ricevuto i deputati grillini che pretendono almeno un questore ecommissioni di peso. Anti-casta?