Per essere il giorno della sua vittoria, Pier Luigi Bersani ha una faccia da vero funerale. Deve avere dormito poco la notte fra venerdì e sabato, e chissà cosa deve avere passato per convincere i suoi gruppi parlamentari a non votare Dario Franceschini alla Camera e Anna Finocchiaro al Senato per sostituirli con la neovendoliana Laura Boldrini e con un pubblico ministero come Pietro Grasso alla seconda carica istituzionale dello Stato. Alle 11 di ieri Bersani è apparso alla buvette della Camera, con il codazzo di fedelissimi. Loro hanno ordinato un caffè. Il segretario del Pd ha chiesto un bianchetto: aveva bisogno di farsi forza. E chissà se poi quel bicchierino a stomaco vuoto non ha gettato in confusione il leader del Pd, scappato via dall’aula subito dopo la votazione per correre al partito e riacciuffato in extremis dallo staff: «Segretario, fai uno sgarbo alla Boldrini. Devi tornare in aula e ascoltare il suo primo discorso». Quasi negli stessi minuti in Transatlantico passeggiava con un sorriso radioso, braccetto con alcuni colleghi il giovane turco che si sentiva il vero vincitore della partita: Matteo Orfini, l’inventore del ticket Boldrini-Grasso che ha spiazzato le assemblee dei gruppi parlamentari Pd-Sel. Alla Camera si raccontava che i giovani turchi avessero rivoltato le carte e convinto Bersani come questa fosse l’unica soluzione in grado di proteggerlo: al governo o lui o nessun altro, perché con l’elezione di Grasso al Senato sarebbe caduta ogni ipotesi di governo istituzionale guidato dalla seconda carica della Repubblica. I due nomi fatti da Orfini hanno spiazzato subito i renziani, che sono comunque una cinquantina nei due gruppi Parlamentari. Quelli che avrebbero appoggiato Franceschini hanno subito traballato, e a quel punto il diretto interessato ha capito, facendo per primo il passo indietro e annunciandolo già alle 8 del mattino via twitter: «Condivido e ho scelto io stesso le due candidature ». Generosa bugia, che deve essere costata non poco a quel Franceschini che già la scorsa settimana si era fatto accompagnare dai commessi dellaCamera adesplorare gli uffici della presidenza di cui pensava di prendere possesso a breve. La mossa Orfini ha spiazzato tutti, e certo lasciato qualche ferita nel corpaccione tradizionale del partito. Mentre si votava la Boldrini a uno dei grandi elettori di Franceschini, Nicodemo Oliverio, arrivava la telefonata furibonda del sindaco Ds di Satriano, paesino della Calabria: «Mica voterete quei due lì? Sono candidature inconsistenti ». Ieri però i maldipancia sono restati tutti interni, e la storica disciplina di partito ha funzionato. Dal giorno dopo le elezioni il vertice del Pd (Bersani e giovani turchi) ha scelto di parlare sempre agli elettori, e agli elettori grillini in particolare, più che agli eletti. Come se la campagna elettorale stesse continuando e il destino fosse quello di tornare presto alle urne. «Sì», osservava un vecchio lupo della politica come Rocco Buttiglione, «questi pervicacemente stanno facendo di tutto per portarci al voto il prossimo 30 giugno. Con il risultato che non cambierà molto, e avremo bisogno di altre elezioni. Una situazione sempre più pericolosamente vicina alla Repubblica di Weimar». Il ticket Boldrini-Grasso nella testa dei giovani turchi serviva a dare un segnale forte all’elettorato grillino, giocandosi l’ultima carta possibile per terremotare i gruppi del M5S. Se questo non riuscisse, subito alle elezioni con ancora Bersani candidato premier. La prima parte della manovra è parzialmente riuscita: tutti i deputati a 5 stelle si sono spellati le mani dagliapplausi interrompendopiù volte il discorso di insediamento della Boldrini, mentre al Senato addirittura 13 di loro hanno trasgredito agli ordini delgruppovotando Grasso. Una rottura inattesa, che però non sarebbe con questi numeri sufficiente a dare il via libera a un governo Bersani. Quanto all’immediato ritorno alle urne, chissà. «Questi giovani turchi sono appunto assai giovani», scuote la testa un vecchio saggio del gruppo come Ugo Sposetti, «oggi sono tutti entusiasti del ritorno alle urne, convinti di vincere. Ma questa certezza non ce l’ha nessuno, e forse è meglio che guardino bene collegio per collegio. Perché molti di loro oggi sono deputati per la prima volta grazie a un premio di maggioranza di 100 deputati che potrebbe svanire da un momento all’altro. Vedrà che quando se ne rendono conto questo grande desiderio di tornare a votare si affievolirà». A smontare i giochi dei giovani turchi ha provato Mario Monti. Con un interesse personalissimo: con il Pd ha cercato di ottenere la presidenza del Senato come trampolino di lancio verso il Quirinale. Gliela ha smontata Giorgio Napolitano. Ieri mattina ha bussato alla porta del Pdl: «Sono disponibile a votare il vostro presidente del Senato, se voi votate me al Quirinale e trovate il modo di fare partire il governo Bersani». Secondo Luigi Marino, senatore montiano ed ex presidente delle coop bianche, Monti ieri mattina gli ha dato mandato per una trattativa: «Ho chiesto a Maurizio Gasparri di presentarci una rosa di nomiPdl da scegliere. Lui peròmi ha risposto che avevano un nome secco, quello di Renato Schifani. E a quel punto per noi non è stato più possibile». Dunque, quel che è accaduto imbocca più facilmente la strada elettorale e conserva in vita Bersani, perché in tempi così brevi Matteo Renzi resterebbe fuori dai giochi. Resta l’esile filo diuncoinvolgimento grillino che consenta di fare partire un governo di minoranza: i grillini che escono dall’au – la, e il Pdl che resta dentro per assicurare il numero legale. Naturalmente in cambio di qualcosa. «Ah, dipende da quel che ci offrono», ride Denis Verdini «sipuòsempre trattare…Se ci offrono di scegliere il presidente della Repubblica, chissà…». Quale presidente della Repubblica? «Giorgio Napolitano, quello che ci garantisce di più. E ci porterebbe subito al voto». Già, e cosa cambierebbe votando? Che vince «chi non si squaglia prima. Quindi il Pdl…». O Beppe Grillo, che è l’incubo di tutti. Per questo ancora tutte le scommesse sono aperte…