Nel messaggio del Papa per la Giornata della pace del 2013, reso noto in questi giorni, Benedetto XVI tocca temi che ha elaborato sulla scorta dei tanti impulsi che gli giungono nel suo ministero. Offre in poche pagine una splendida lettura spirituale del «beati i facitori di pace»: a questi— spiega il Papa— non viene chiesta un’azione in cambio di un premio, ma viene indicata una via della felicità. Estrae dalla Pacem in terris, di cui ricorre il cinquantesimo, alcuni temi chiave sul valore del «noi» comunitario fatto di reciproci diritti e vicendevoli doveri, sull’ordine internazionale vivificato dall’amore che fa sentire come propri i bisogni altrui, sulla comunione dei valori spirituali che si esplicano nella libertà. Altri passaggi, ormai inseriti come clausole in molti atti pontifici, sono più prevedibili: come le formule sulla difesa della vita, la deprecazione della «dittatura del relativismo» (che forse meriterebbe almeno una simmetrica deprecazione delle «dittature degli assolutismi»), la sconfessione dei fondamentalismi. C’è però un passaggio che sorprende, dedicato alla «struttura naturale del matrimonio» come «unione fra un uomo e una donna»: struttura che va difesa, dice il messaggio, «rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale». Un attacco frontale sia alle unioni civili sia al matrimonio fra persone dello stesso sesso: che ha fatto scalpore. Il contenuto in realtà non sorprende e pone un problema su cui l’episcopato cattolico ha usato toni molto diversi: nel 2007 Ruini tentò di legare le mani su questo ai parlamentari italiani e, se anche fu fermato da Bertone, segnò l’inizio del tramonto del secondo governo Prodi; nel 2012 la conferenza episcopale americana ha dato un sostegno generoso a Romney e ha deciso di passare in compagnia dei tea party questi altri quattro anni di Obama; in Francia una mobilitazione di piazza contro il marriage pour tous ha avuto un plauso che non teneva conto che dividere la società è sempre un errore, in Italia i parlamentari del Pdl, male informati sulla giurisprudenza rotale, avevano chiesto che Monti, nel sottoscrivere la convenzione contro la violenza sulle donne e nella famiglia, facesse una precisazione sul senso della parola «famiglia» che doveva compiacere la Santa Sede. L’odierno richiamo papale va dunque collocato: perché nessuno, nemmeno negli organi di curia che presidiano la famiglia con giusto zelo, dirà che l’amore fra persone dello stesso sesso e l’ambizione a un riconoscimento pubblico siano una minaccia alla pace nel mondo di Homs e delle mille guerre sorde. Il suo contesto è dato dalle elezioni del 2013 in Austria, ma soprattutto in Italia e in Germania. Paesi nei quali esistono partiti cristiani di diversa caratura, che l’ingenuità ecclesiastica sogna di far diventare il magnete per la limatura di ferro delle destre palesi e occulte. Paesi nei quali partiti socialisti e democratici hanno una componente cattolica rilevante e che rischiano di vincere con una agenda sociale secondo cui ciò che è giusto vale più dell’efficace. Nel disegno di fare del centro il collettore di una destra in rotta accade che vi sia chi, anche fra le autorità ecclesiastiche, non conosce la costituzione degli altri Paesi e talora neppure del proprio. Così qualcuno di questi potrebbe essersi fatto l’idea che il no al gay marriage possa essere la leva che legittima le Chiese a impegnarsi per ricompattare un conservatorismo avvelenato dall’anomia in Italia e dalla paura in Germania. Un gioco condotto etsi Silvius non daretur, pericoloso per coloro che si vorrebbe far giocare (per esempio Mario Monti); pericoloso per le sinistre che devono esser messe alla prova sulla loro «ragionevolezza», avrebbe detto Paolo Rossi. E pericolosissimo per la Chiesa. Che ha ragione da vendere se dice alla politica che quei milioni di giovani a cui la crisi ruba coniugio e figliolanza hanno diritto a una risposta. Ma se prima di parlare di questo deve costruire una cattedrale argomentativa contro i gay, e poi spiegare che per usare la razionalità e comprendere la natura serve il magistero, dovrà poi dire qual è la differenza fra se stessa e il fondamentalismo, giustamente condannato da Benedetto XVI. Nel frattempo si troverà isolata dai suoi fedeli: che hanno figli e figlie, sono figli e figlie, e sanno che la maternità e la paternità parlano un’altra lingua; e guardano con delusa indulgenza a una chiesa che ha dimenticato che la vita è fatta di percorsi tortuosi e cerca di presidiare un punto del confine fra il pubblico e l’intimo dove non passa nessuno.