Secondo la definizione di Wikipedia Italia, per gioco “s’intende un’attività volontaria e intrinsecamente motivata, svolta da adulti, bambini, o animali, a scopo ricreativo” e, successivamente, “alcuni giochi possono coinvolgere un solo giocatore (si parla di “solitari”), ma, nella maggior parte dei casi, essi prevedono una competizione tra due o più partecipanti”. Nessun videogioco può essere definito totalmente solitario, poiché è sempre esistito un fuorigioco in cui i giocatori si scambiavano informazioni e dritte su questo o quel livello: questa interazione esiste sin dalla nascita degli arcade ed è viva ancora oggi, incarnata in forum, siti di consigli e walkthrough su You- Tube. È necessario parlare dei numerosi tentativi di coinvolgere un maggior numero di partecipanti in-gioco, il famigerato multiplayer. Multiplayer È una parola che nasconde una componente importante e amata dai giocatori. D’altronde il coinvolgimento di altre persone risponde a una serie di bisogni innati a cui l’intelligenza artificiale non può rispondere. La necessità di questa “modalità” è già presente in Pong e in altri progenitori del media e ricopre un ruolo di primo piano in molti videogiochi dell’età dell’oro degli arcade. Le sale giochi sono ricordate con così tanto fervore e nostalgia perché rispondevano pienamente ai bisogni dei loro clienti, unendo competizione, collaborazione in-gioco e fuori-gioco; per molto tempo la differenza tra gioco arcade e gioco casalingo è passata anche per questi elementi. Il multiplayer casalingo diventerà realtà solo durante la seconda generazione di console giapponesi e, per la precisione, nell’estate del 1992: la conversione di Street Fighter II e l’uscita di Super Mario Kart segneranno indelebilmente il panorama videoludico, trasformando il Super Nintendo in un campione d’incassi mondiale e presentando per la prima volta una valida alternativa agli arcade. Era il primo passo di una modalità che non avrebbe mai più abbandonato i videogiochi per console. Online La scena PC presentava alcune differenze rispetto alla situazione delle console: sin dall’inizio si era tentato, spesso con risultati incoraggianti, di realizzare partite tra concorrenti umani anche a distanza tra loro. Ma è solo negli anni ’90 che si giungerà alla svolta nel network gaming, con le uscite di Doom e Neverwinter Nights. Rifletteremo sull’importanza del gioco Stormfront più avanti, mentre ci preme dare immediatamente spazio all’opera magna di Romero e Carmack. La id Software riuscì a riunire in un solo gioco una vasta (e appassionante) avventura in solitario, una modalità cooperativa solida e, soprattutto, una modalità competitiva devastante: il deathmatch, nome creato dallo stesso Romero, sarebbe diventato una costante del genere FPS (e non solo), divenendo la colonna portante di molti titoli di grande successo e facendo la fortuna di moltissime software house – da Counter Strike, mod per Half Life di Valve, a Call of Duty di Infinity Ward, passando per Unreal Tournament di Epic Games e Halo di Bungie. Questi (e molti altri) videogiochi non hanno solo cambiato il nostro modo di vivere il multiplayer prima su PC e poi, grazie all’impegno di SEGA e Microsoft, su console, ma hanno dato un nuovo aspetto all’industria dei videogiochi, condizionandone le tendenze e contribuendo in maniera determinante al suo assetto attuale. Il segreto degli FPS e dei loro emuli è insito nell’applicazione di un istinto atavico, nell’intuitività della battaglia, nell’adrenalina scatenata dalla vittoria. RPG Torniamo leggermente indietro nel tempo, rivolgendo lo sguardo ai giochi di ruolo e alle loro evoluzioni multiplayer, strada diversa e forse più interessante rispetto alla pura competizione degli sparattutto. Replicare modalità tipiche del gioco di ruolo è sempre stato uno degli obiettivi impliciti di molti sviluppatori: l’apertura al multiplayer è il modo migliore per riportare su schermo le meccaniche tipiche del gioco di ruolo cartaceo. Il successo della serie Ultima spinse la TSR a vendere i diritti per la creazione di videogiochi basati su Advanced Dungeons & Dragons. Acquisita dalla Strategic Simulations, Inc. (SSI), la licenza diede il via a vari videogiochi basati sul motore grafico denominato, dal colore delle confezioni di questi, Gold Box. Neverwinter Nights fu il risultato di una collaborazione tra AOL, Stormfront Studios, SSI e la stessa TSR: l’aspetto tecnico ricalcava proprio i titoli Gold Box, mentre lo sviluppo era cominciato nel 1987 in un duplice formato, testuale e grafico. Nel 1989 Stormfront cominciò a lavorare con SSI a un gioco su Dungeons & Dragons che utilizzasse lo stesso engine degli altri Gold Box e, qualche mese dopo, si accorsero che era tecnicamente possibile utilizzarlo per creare un gioco online con una grafica – tutti i primi RPG online erano esclusivamente testuali. In una serie di incontri tra San Francisco e Las Vegas, Steve Case e Kathi McHugh di AOL, Jim Ward della TSR e Chuck Kroegel della SSI, Don Daglow e il programmatore Cathryn Mataga della SSI convinsero le varie aziende che il progetto era realizzabile. Neverwinter Nights fu pubblicato nel 1991, guadagnandosi il titolo di primo gioco di ruolo online con elementi grafici e riscuotendo un successo tale da spingere AOL a mantenerlo attivo fino al 1997, quando la società si scontrò con la TSR per i diritti riguardanti la licenza di gioco e decise di chiudere i server. Il segreto di questo successo furono senza dubbio le numerose e vivaci gilde, particolarmente attive nel coinvolgere i loro membri nel mondo di gioco. Ma sarebbero passati pochi mesi dall’uscita di un nuovo videogioco che, unico per genere, sviluppo e gameplay, avrebbe chiaramente indicato la strada del futuro: Ultima Online. Il creatore, Richard Garriott non è un uomo qualsiasi: britannico naturalizzato statunitense, figlio di Owen K. Garriott, ingegnere e astronauta, cominciò sin dalle scuole superiori a interessarsi e a studiare programmazione, creando dei giochi di ambientazione fantasy (nei quali si dava il soprannome, derivato dal suo accento britannico, di Lord British) che poi regalava agli amici. Con gli introiti del suo primo progetto regolarmente commercializzato, un lavoro amatoriale intitolato Akalabeth: World of Doom, poté pagarsi l’università, concludendo i suoi studi. Garriott è stato uno dei primi sviluppatori a creare una propria etichetta privata, la Origin, sotto la quale ha pubblicato e distribuito tutti i suoi titoli usciti dal 1983 al 2004. Tra questi vi è anche Ultima Online: la realizzazione di un’idea di un mondo fantasy che coinvolgesse migliaia di persone allo stesso tempo, riunendo e migliorando, sia meccanicamente che tecnicamente, le caratteristiche di altri giochi online come Neverwinter Nights. Con un team iniziale composto di quattro persone – Garriott, Starr Long, Rick Delashmit e Raph Koster, diventato in breve il lead designer del progetto – i lavori sul gioco cominciarono ufficialmente nel 1995 e la sua prima apparizione in pubblico risale al 1996. A ridosso dell’uscita, Ultima Online era già particolarmente popolare, raggiungendo la quota di centomila iscritti paganti sei mesi dopo l’uscita, malgrado i grossi problemi di lag. Le iscrizioni continuarono a crescere per molti anni, raggiungendo un picco di duecentocinquamila account paganti. Questo fece di Ultima Online il primo MMORPG (termine coniato dallo stesso Garriott) della storia e il primo ad avere un notevole successo. Oggi Durante la fine dell’estate abbiamo assistito all’uscita di Mists of Pandaria e Guild War 2, MMORPG d’indubbio successo, e nel corso del mese assisteremo all’uscita di numerosi videogiochi con modalità multiplayer online particolarmente elaborate, come Halo 4. Parleremo sicuramente di queste e, inevitabilmente, esse avranno una certa influenza sul nostro giudizio: per questo abbiamo deciso di proporvi questa breve (e di certo incompleta) storia del multiplayer online.