Mille trecento sessantatre sms in quattro giorni. È un numero impressionante, quello dei contatti tra Salvatore Parolisi e la sua ex amante Ludovica Perrone. Ancor più impressionante è l’intervallo di tempo in cui questa marea di messaggi è stata spedita: tra il 14 e il 18 aprile 2011, il giorno in cui Melania Rea scomparve da Ripe di Civitella. Quarantotto ore prima che venisse ritrovata cadavere, massacrata da 35 coltellate. Una corrispondenza serratissima che letta a posteriori mette i brividi. Perché in quegli sms, molti aggressivi al limite del minaccioso da parte dell’amante di Parolisi, che di lì a poco si aspettava che lui lasciasse Melania per raggiungerla ad Amalfi per le vacanze pasquali, ci sarebbe il movente dell’omicidio. In quei messaggini densi di pro messe, richieste, ricatti emotivi esasperati e persino insulti, risiederebbe dunque quella pressione emotiva insostenibile che avrebbe spinto Salvatore a uccidere la moglie. Questa la tesi del giudice Marina Tommolini del Tribunale di Teramo, che l’ha condannato all’ergastolo in primo grado. Una fiumana di messaggi che, è prevedibile, occuperà una parte importante nelle motivazioni della sentenza, attese per fine gennaio. Intanto, però, mentre dal carcere l’ormai ex caporal maggiore dell’esercito grida la sua innocenza, si profila un dramma nel dramma: quello della figlioletta della coppia, Vittoria, 3 anni appena. Dicono che stia crescendo solare e gioiosa. Serena, per quanto possibile, nei suoi primi giorni d’asilo, con la maglietta rosa di Minnie. Raccontano i suoi nonni, Vittoria e Gennaro Rea, che chiede sempre di mamma Melania. E che le somiglia tanto da sembrare lei a quell’età. È sola adesso, Vittoria. Sì perché Parolisi, con la condanna in primo grado non solo ha perso la libertà, ma anche la potestà genitoriale. Decaduta, come ogni possibilità, almeno al momento, di vedere Vittoria. Che, a tutti gli effetti, agli occhi della legge non è più sua figlia. A lei, anzi, che per decisione dei nonni si era costituita parte civile contro il padre, Parolisi dovrà pagare un risarcimento di un milione di euro. Una nuova lotta in questa famiglia già dilaniata. Con i Rea, da una parte, che hanno ottenuto l’affidamento provvisorio della piccola. E i Parolisi, con in testa Franca, la sorella di Salvatore, che vorrebbero la bambina tutta per loro. Il Tribunale dei minori di Napoli, però, il 6 dicembre 2011 aveva deciso che rimanesse a Somma Vesuviana con i nonni materni e zio Michele, il fratello di Melania. «Una scelta che tende giustamente a privilegiare l’equilibrio della bambina, che già da un anno viveva quella nuova situazione affettiva», spiega l’avvocato Cesare Rimini, matrimonialista ed esperto di diritto di fami glia. Ogni due settimane, però, per un tacito accordo, la bimba viene presa in custodia da Franca Parolisi e trascorre il sabato e la domenica con i nonni paterni a Frattamaggiore. «Un comportamento molto saggio», commenta l’avvocato Rimini. «In questa fase, l’unico criterio da seguire è l’interesse della piccola. E proprio per questo occorre che mantenga più rapporti possibili con tutti i parenti che le restano». Un suggerimento non semplice da mettere in pratica. Eppure Vittoria, che è seguita ogni settimana da uno psicologo, sembra per ora stare bene. Per quanto tempo? «È difficile da stabilire perché ogni bambino cresce a ritmi diversi», dice Anna Oliverio Ferraris, psicoioga dello sviluppo, «ma non si potrà tacere ancora a lungo, perché il confronto con i coetanei all’asilo la spingerà a fare domande: a queste sue richieste bisogna attenersi, rispondendo con dolcezza e senza andare oltre, almeno per ora». Come potrebbe reagire, è diffìcile da prevedere. «I figli che subiscono questi traumi hanno due strade davanti a loro», continua la psicoioga, «Giustificare il genitore-carnefice, ammettendo magari un raptus di follia, oppure estirparlo dalla propria vita, organizzando ricordi e affettività attorno alla memoria del genitore-vittima. Tutto dipende da come si parlerà a questa bambina». Per adesso alla piccola Vittoria i nonni Rea hanno detto che mamma è volata in cielo, mentre il papà è in un posto dove stanno le persone che hanno fatto cose cattive. Il padre Salvatore, invece, quando la sente al telefono, unico contatto consentito tra i due ogni quindici giorni, le dice di non preoccuparsi, che sta lavorando e che tornerà. Ma, affonda zio Michele Rea: «Per Vittoria il ricordo di papà ormai è affievolito e di lui non chiede più». Può essere davvero così? «Già a otto mesi», spiega la dottoressa Oliverio Ferraris, «i bambini percepiscono l’assenza delle persone che frequentano la casa, sentono la mancanza di voci e visi familiari. Vittoria aveva un anno e mezzo ed è stata subito inserita in un nuovo contesto affettivo dove ha ritrovato equilibrio e stabilità. Questo le serve, più delle spiegazioni e delle parole. Anche perché a 3 anni non saprebbe dare significato al termine “uccidere”». È d’accordo anche l’avvocato Rimini: «La verità non le andrà nascosta, ma deve essere resa sopportabile e comprensibile per quanto possibile. E tutti i suoi parenti dovrebbero lavorare insieme in questa direzione». Un gran ruolo potrebbe averlo un’alleanza tra le famiglie Rea e Parolisi. «Vivere tra due fronti contrapposti rischierebbe solo di rendere la bimba più insicura e confusa», conclude la psicologa, «quando per una piccola così traumatizzata ci vorrebbe una risposta univoca, affettiva prima che logica». Al contrario invece le armi sembrano affilarsi. «Chiederemo l’affidamento definitivo», ha affermato Gennaro, padre di Melania. «Vittoria per due giorni non mi ha visto e ora non vuole che stare con me. Porta un cognome pesante, non sarà facile vivere per lei». E la prossima mossa potrebbe essere proprio chiederne il cambio, da Parolisi in Rea, una volta che la sentenza sarà passata in giudicato. Parolisi intanto PATTO PER non parlano, almeno VITTORIA» pubblicamente. Anche in tribunale, al momento della sentenza, con Salvatore cerano solo gli avvocati Nicodemo Gentile e Valter Biscotti. Sì, un patto d’amore per il bene di Vittoria sarebbe l’unica soluzione. Ma adesso sembra lontanissimo anche solo da immaginare.