«Pur se è stata stabilita la verità, non riusciamo a essere contenti: anche con Salvatore in galera, nostra figlia non farà mai ritorno a casa e la piccola Vittoria avrà per sempre un papà che ha ucciso la mamma. Per questo il nostro incubo sarà eterno e non possiamo perdonare». È amara la reazione della famiglia Rea alla sentenza che prevede il carcere a vita per il marito killer della donna uccisa a Ripe di Civitella, il 18 aprile 2011. E il padre chiede: «Almeno che si ravveda e ci racconti come è andata davvero» «Non lo perdono». Vittoria Garofalo, mamma di Melania Rea uccisa il 18 aprile 2011 , non ha avuto incertezze nel pronunciare questa frase. Quando il giudice monocratico, Marina Tommolini, venerdì 26 ottobre ha letto la sentenza di primo grado che condannava il caporalmaggiore Salvatore Parolisi all’ergastolo per l’omicidio della moglie, la mamma di Melania, che da Somma Vesuviana era in collegamento telefonico con il tìglio Michele presente in aula a Teramo, non è riuscita a trattenersi. Ha pronunciato quelle tre parole che non lasciano spazio alla clemenza e poi si è lasciata andare a un pianto a dirotto: lacrime di liberazione e di disperazione per una verità che già conosceva e che adesso è stata solo confermata dai giudici. «Ci tormenta il pensiero di avere accolto in casa, come un figlio, l’assassino di Melania», sussurra, il giorno dopo, il fratello della vittima Michele Rea. «Una verità che fa ancora troppo male». Una disperazione mista a rabbia, che ritorna con forza a ventiquattr’ore dalla sentenza. Vittoria Garofalo, dopo avere affidato la figlia di Melania a zia Franca Parolisi per il consueto weekend da trascorrere con i nonni patemi, va al cimitero e appare sfinita: «Non lo perdonerò mai», sussurra davanti alla tomba di Melania. «E non chiedetemi se sono contenta. Sarei contenta se Melania fosse tornata da me». Non aggiunge altro, mamma Vittoria, decidendo così di nascondere il proprio dolore dietro il silenzio, dopo la sentenza che ha dato un volto certo all’assassino della figlia, condannando all’ergastolo suo genero. «L’attesa della verità ci ha sfibrati. Siamo stanchi. Anzi, sfiniti. È stata una battaglia diffìcile», confessa Michele Rea di ritorno da Teramo.