Melania Rea è stata uccisa a coltellate il 18 aprile 2011 in un bosco della provincia di Teramo. Suo marito Salvatore è stato condannato all’ergastolo per averla ammazzata. La loro figlia Vittoria, 3 anni il 16 ottobre scorso, gioca. Non ha più una mamma, ora non ha più nemmeno un papà, ma gioca e sembra serena. Il giudice dei minori l’ha affidata in custodia temporanea ai Rea, la famiglia della mamma. È una bimba alta e bella. Ha le guance piene e i capelli striati di biondo acconciati con due treccine e nastrini rosa: «Come Pocahontas », interviene lei senza incespicare. Il confronto con una foto della sua mamma alla sua età è inevitabile: «Sono identiche», dice una zia, «e si somigliano anche nel carattere. Melania da piccola era un vulcano come Vittoria». E una bambina molto sensibile, dicono i parenti, e venerdì 26 ottobre, ultimo giorno del processo contro suo padre, qualcosa do Gennaro e zio Michele e lei era rimasta a Somma Vesuviana con la nonna che si chiama come lei. In una casa mausoleo, davanti alle foto di mamma Melania aveva visto accendersi le candele, in sala e cucina cera un insolito assembramento di amiche e donne di famiglia, il telefono squillava in continuazione e la nonna ogni volta rispondeva con un tono d’ansia diverso dal solito. UNA GIORNATA PARTICOLARE «Questa sentenza per noi è troppo importante », diceva la nonna con il cellulare in una mano e il fazzoletto nell’altra, mentre alla vigilia della sentenza ci faceva accomodare in cucina. «In casa, dubbi non ne abbiamo. È stato Salvatore. Per noi l’assassino è lui. Mi auguro che possa esserlo anche per il giudice. La paura più grande è che le prove per condannarlo non siano sufficienti, che venga assolto e domani lui venga qui a prendersi la piccola. Sono preoccupata ma non vorrei darlo a vedere. Questa bambina ha le antenne. Ha percepito che oggi è una giornata particolare, ha capito che sta accadendo qualcosa di diverso dal solito. Non la perdo di vista un solo istante, ma vedo che perora gioca e non fa domande. Per fortuna. Perché non saprei cosa risponderle». TUTTI INSIEME AL SUPERMERCATO Dalla casa di Somma Vesuviana al tribunale di Teramo, l’innocenza di una bimba che attraversa un dramma accarezzando un orsacchiotto arriva nel mondo degli adulti come una nota surreale. Eppure anche qui la protagonista è lei. Da un anno e mezzo è una presenza silenziosa sullo sfondo di un’inchiesta e di un processo per uno dei più atroci delitti di questi ultimi anni. Abbiamo visto Vittoria poche ore prima della morte della mamma, nelle immagini sgranate di una telecamera stradale, in braccio al papà, mentre tutti insieme entrano in un supermercato. L’abbiamo ritrovata al colle di San Marco, sopra Ascoli, quando Salvatore dà per la prima volta l’allarme per la scomparsa di Melania, la porta con sé, poi la affida alla titolare di un ristorante, la riprende e il giorno successivo la porterà al lavoro in caserma. Forse la ritroveremo con un ruolo importante anche tra le carte del processo. E presto per saperlo. Dovranno passare tre mesi prima che vengano depositate le motivazioni della sentenza contro Parolisi. Sarà interessante leggere come il giudice ha disposto gli indizi riuniti dagli inquirenti e come li abbia fatti convergere sulla figura dell’imputato. Non dovrebbe essere difficile e chi conosce le carte già oggi potrebbe trovare facilmente la soluzione. Quello che nessuno ancora riesce a spiegare è la mazzata dell’ergastolo. Doppiamente grave se si considera che Parolisi aveva scelto il rito abbreviato, aveva quindi diritto allo sconto di un terzo della pena e, per fare un esempio, una condanna a 30 anni si sarebbe automaticamente ridotta a 20. Se tutto è stato azzerato, se da una pena che poteva essere ridotta il giudice è arrivato alla pena massima prevista dal codice, vuole dire che sul piatto della bilancia sono finite come aggravanti delle considerazioni pesantissime. Ma oltre l’omicidio, cosa potrebbe aver fatto Parolisi di così imperdonabile per fargli meritare una vita dietro le sbarre? I pm Greta Aloisi e Davide Rosati il 19 ottobre avevano motivato la richiesta di ergastolo per le ferite post mortem, i tagli a forma di svastica, la siringa e il laccio emostatico che Salvatore, tornato a distanza di poche ore sulla scena del delitto, avrebbe lasciato sul cadavere della moglie per depistare le indagini. Sono state ricordate anche le infinite menzogne del caporale per allontanare da sé i sospetti. È stata sottolineata anche la crudeltà e la vigliaccheria di un’azione omicida a tradimento, forse preceduta da un bacio spietato e beffardo, rimasto con una traccia di Dna sulle gengive di Melania. Ma il giorno dopo la sentenza al palazzo di giustizia di Teramo l’ergastolo pronunciato.