Inizialmente avevo pensato a un articolo centrato su HalfLife, in occasione dell’uscita di Black Mesa Source (vergognatevi se non lo conoscete; ve lo ricorderò fra qualche riga, comunque), quindi focalizzato su ciò che il titolo di Valve ha rappresentato per l’industria dei videogiochi e sulla spasmodica attesa di un vero erede, magari senza la definizione di “Episodio”. Cinque anni sono decisamente troppi, per perseverare con il linguaggio da serial televisivo, sebbene la pratica abbia fatto scuola. Ciò detto, a quasi 14 anni dalla folgorante opera d’esordio, non è nemmeno possibile guardare al lavoro di Newell, Harrington e compagni pensando solo al passato, così come non ha senso parlare solo di videogiochi, in termini di gameplay e innovazione ludica, di fronte ai creatori del sistema di Digital Delivery più diffuso in ambito PC. Anzi, a dirla tutta, nemmeno i software di Sony e Microsoft per le rispettive console possono confrontarsi con un simile successo, sulla base del proprio clamoroso numero gono creati (magari per finire, in esclusiva, su console), ma è indubbio che la domanda che stiamo per porci non abbia più una risposta univoca, come poteva essere 10 anni fa: cos’è che ha contato di più, per la tenuta della piattaforma ludica PC, tra gli interventi della stessa Microsoft e la crescita silenziosa ma implacabile di Steam? Sono state più importanti le release di DX9/10/11 e del controverso Games for Windows LIVE, oppure la possibilità di veder “monetizzato” il lavoro di migliaia di software house (numero addirittura improprio, se teniamo conto dell’apertura alla scena indie degli ultimi anni) che hanno continuato a investire sul PC? D’altronde, con questioni così sibilline non voglio certo ridurre un panorama sfaccettato come quello del gaming per PC, dove gente come Notch può farsi ancora allegramente i fatti suoi, alla sola azione di Valve Corporation e all’immane crescita di Steam. Intendo tracciare qualche linea, ovviamente aperta al dibattito, a uso e consumo di chi ama per davvero la “Macchina dei Giochi”. KILL FREEMAN A questo punto, però, qualche parola sul mod Black Mesa la spendo volentieri, prima di tornare su uno scenario avulso dalla pura pratica ludica. La sensazione, una volta istallato il pacchetto (non è richiesto alcun episodio originale: l’ultimo Source SDK basta e avanza, naturalmente all’interno di Steam), è stata vicina a quella che si prova tornando in un luogo dell’infanzia: quando ho giocato a Half-Life avevo già la bellezza di 28 anni, ma la forza dell’esperienza è stata tale da farmela ricordare come un evento più vivido degli altri, proprio come alcuni ricordi che ci portiamo dietro da bambini. E questo lo dico a ragion veduta, per mantenere intatta la memoria e collocarla nel luogo e nei tempi in cui è nata: alla prova dei fatti, la distanza tra Half-Life e gli sparatutto moderni è molto più marcata di quanto si possa immaginare, affidandosi agli imperfetti “storaggi” del cervello, cosa che non riguarda tanto il versante tecnico, diligentemente aggiornato dal Black Mesa Modification Team (un nome, una missione), quanto la sostanza del gioco e dei suoi contenuti ludici. È facile riconoscere ancora la grandezza dell’idea narrativa, strampalata eppure coesa al mondo dei giocatori/spettatori/lettori di sci-fi, che mescola gli elementi più eterogenei con la consapevolezza che i videogiochi, più di qualsiasi altro mezzo espressivo, possono fare dell’immaginario collettivo ciò che vogliono, come se l’avessero duplicato in una versione “chiavi in mano” Le invenzioni di Half-Life risulterebbero esagerate anche in un B-Movie, senza la forza di un’immersione interattiva in prima persona, e Black Mesa Source è arrivato a ricordarcelo, con i suoi alieni multidimensionali e il suo scienziato da scrivania trasformato in commando. In tutto questo, impatto grafico a parte, si riconosce l’intervento dei modder in alcune dinamiche, prima fra tutte la gestione della fisica, oltre che nel differente sviluppo di specifici snodi dello storymode, magari per eliminare prescindibili fasi di passaggio o cambiare le logiche intorno a un boss-fight. Ma il lavoro del BMM Team non è stato tanto profondo (per una precisa scelta di rispetto, ovviamente) da permettere al capolavoro di Valve di risultare “competitivo” anche nel 2012, davanti allo stuolo dei suoi migliori eredi: le emozioni più belle, nel mio caso, sono arrivate in corrispondenza degli stacchi della colonna sonora, minimali e inseriti ad arte nei punti chiave, oppure quando ho cominciato a trovare/sentire frasi sulla caccia a Freeman, prime responsabili del trasferimento del mito dallo schermo all’immaginario dei videogiocatori; nel contempo, però, mi è venuta una gran tenerezza al pensiero che nel 1998 considerassi Half-Life un inarrivabile traguardo di divertimento ludico, con il ridicolo sparo della pistoletta e il piede di porco da usare come una nonnetta isterica farebbe con l’ombrello (paradossalmente, entrambi i particolari sono ancora marchi di fabbrica, esportati anche negli Episodi). Questo senza nulla togliere all’impianto generale con cui la storia viene portata avanti, che negli anni ho ritrovato in una moltitudine di titoli, magari distanti da HL in diversi aspetti del gameplay. Ad esempio, la panoramica dello scenario tridimensionale è stata usata anche all’inizio di BioShock, come “antipasto” di un racconto che procederà di pari passo con il dipanarsi dell’ambientazione, con centinaia di dettagli a testimoniare il lavoro e la vita di chi l’ha percorsa. Oppure, potremmo citare le tantissime occasioni in cui gli NPC si sono rivolti a noi, guardando verso l’inquadratura in soggettiva, per spiegare obiettivi ed elementi della storia, senza ricevere alcuna risposta dal nostro personaggio. L’ultimo che mi viene in mente è Borderlands 2, semplicemente perché lo sto giocando in questi giorni: un FPS “shoot & loot” (come gli stessi sviluppatori l’hanno definito) che c’entra davvero poco con Half-Life ma non può fare a meno di evocarlo, come tutti i suoi colleghi di successo prodotti dopo il 1999. E, francamente, non trovo altro modo di spiegare la superiorità di Half-Life, rispetto ai concorrenti dell’epoca, se non con un semplice assunto, laconico ma incontestabile, per cui Valve “ha fatto ciò che andava fatto” Ogni qual volta le condizioni lo permettono, in questo caso sulla base di nuove tecnologie, prima o poi arriva il geniaccio capace di sfruttarle per uno scopo che, a posteriori, sembra a tutti il più logico, proprio come la struttura e le soluzioni di HL. Nel caso specifico, abbiamo “semplicemente” un’ambientazione e una storia che vengono spiegate dall’inizio alla fine attraverso la soggettiva, contando sul fatto che un’esperienza di questo genere può dipanarsi senza artifici, che siano stacchi di narratori “onniscienti” o sequenze esterne all’azione, facendo affidamento solo sugli occhi e sulle orecchie del protagonista. GREENLIGHT E I SUOI FRATELLI Arrivati a questo punto, in un’atmosfera quasi nostalgica, il passaggio verso scenari “industriali” potrebbe sembrare difficile o addirittura improprio. Non è così, però, ed è anzi fluido come l’acqua: alla fine, l’offerta stessa di Black Mesa Source risulta privata della parte finale, per quanto gli sviluppatori abbiano sostanzialmente terminato il lavoro, forse perché le avventure su Xen potrebbero servire da surplus per la versione commerciale, ovviamente all’interno della piattaforma di Valve. Di qui arriviamo dritti dritti a Steam Greenlight, il servizio attivo da alcuni mesi e predisposto per immettere sul mercato i titoli (amatoriali, ma non solo) più meritori, degni del sostegno (semplici “voti”, in questo caso) della comunità giocante. Spesso si tratta di opere abbastanza complesse da occupare anni nella vita di una manciata di sviluppatori, proprio com’è stato per il progetto Black Mesa, cosa che legittima e dà valore all’iniziativa di Valve in forma quasi automatica. Chiaramente, però, l’immagine di un simile “mecenatismo” (concetto applicato da Valve anche internamente, vedi box)
non è certo quella del ricco nobile del Rinascimento, pronto a finanziare le opere solo per sostenere gli artisti e circondarsi di capolavori; oggidì, una simile pratica è quasi sempre accompagnata da strategie monopolistiche, che da una parte sembrano voler costruire una casa accogliente per tutti quanti, e dall’altra si preoccupano di definirne le regole e le quote di profitto. Tuttavia, guardando al panorama generale dell’industria videoludica, è già tanto che qualcuno si muova in una simile direzione, peraltro facendola rientrare in un coerente quadro di iniziative: il varo di Steam Workshop è proteso verso modder giovani e creativi. Anche la nuova pagina Software, attivata proprio mentre scrivo queste righe, è in qualche modo connessa all’invito, rivolto ai giocatori, per una partecipazione attiva nei processi creativi, con editor videoludici, filmati e oggetti 3D (il mare in cui sguazza il buon Gabe, insomma): accanto ai benchmark di 3DMark e alle app grafiche CameraBag 2 e ArtRage, gli altri programmi sono legati agli usi appena menzionati, da 3D Coat (la versione professionale è più costosa, ma pur sempre accessibile per un software di modellazione tridimensionale) a Game Maker Studio, fino al gratuito Source Movie Maker. Dopo tutte queste attenzioni al mondo PC in senso “classico”, sulla base di tendenze consolidatesi nel passato, non poteva mancare uno sguardo rivolto contemporaneamente al presente e al futuro. Molti, in effetti, hanno guardato all’introduzione di Big Picture, la nuova interfaccia studiata per pad e schermi televisivi, come a un passo concreto verso la creazione della cosiddetta “Steam Box”, nell’ottica di una piattaforma capace di sfruttare, in un futuro ancora indefinito, sistemi di controllo e di visualizzazione diversi dal trittico LCD-mouse-tastiera. Per il momento, però, mi sono sentito personalmente “accarezzato” dall’idea di Big Picture e dalla sua realizzazione formale: la mia scheda video ha un bel cavo HDMI collegato alla televisione, giusto perché una buona postazione multimediale non può mancare di uno schermo grande e di una piattaforma duttile come il PC. Allo stesso tempo, penso che anche voi conveniate sull’indubbia bellezza e praticità dell’interfaccia, almeno con un gamepad in mano, per scelte cromatiche, chiarezza complessiva e fluidità nella navigazione. Insieme, grossomodo con lo stesso aggiornamento, sono arrivate un paio di piccole/grandi migliorie del servizio, richieste da diverso tempo ma implementate solo oggi, per qualche misteriosa ragione: all’interno di Big Picture è concesso di scattare screenshot anche con il pad, operazione fino a oggi impossibile, mentre nell’interfaccia “storica” è stata inserita l’opzione per installare una libreria di giochi su più partizioni del PC (alla buon’ora, direi). In effetti, a parte le considerazioni di merito su questa o quella caratteristica, ultimamente è possibile rintracciare un lavorio così frenetico e denso di novità solo in casa Apple, non a caso il colosso più colosso di tutti. Quindi la domanda è: quale evento vedremo per primo, fra l’uscita di Half-Life 3 e il dominio di Gabe Newell sul mondo intero?